mercoledì 30 novembre 2011

not in my name!, non fare di tutta l'erba un fascio, sull'attribuzione di responsabilità

A proposito dei commenti su intolleranze e conflitti, e di relative responsabilità collettive (oltre a quanto troverete sul libro nella parte seconda, al capitoletto II.9 in particolare alle pagine 305-306), voglio riportarvi questa lettera che un lettore, il sig. F.Alessandri di Milano,  inviò a "La Repubblica" venerdì 3 dicembre 1999, quando gestiva le lettere al quotidiano la giovane Barbara Paolombelli (che non avevo particolarmente apprezzato in quel difficile ruolo...):

VOGLIO LA SECESSIONE DAL GENERE UMANO
"In genere  quando uno è afflitto da qualche parente che pianta grossi debiti in giro a suo nome, per sopravvivere è costretto a mettere un pubblico annuncio in cui dichiara di non rispondere a tutti gli impegni presi da quel parente.
E' questo che vorrei fare. Vorrei dichiarare a chiunque possa interessare che non sono responsabile né dell'Olocausto, né dei Gulag sovietici, né delle atrocità commesse dagli occidentali verso il Terzo Mondo, né del fascismo, né del comunismo, né dell'estinzione della bella tigre siberiana...
Declino altresì ogni responsabilità di tutte le sopraffazioni presenti e passate degli uomini contro le donne, dei fautori di una religione contro quelli di un'altra, degli alti contro i bassi... In una parla mi dichiaro responsabile solo delle mie azioni, e di eventuali appoggi e approvazioni pubbliche di azioni di altri.
Forse sembrerà una dichiarazione pleonastica, ma è tutta la vita che sono costretto a forza in categorie e che vengo interpellato sempre col "voi": "voi uomini", "voi intellettuali", "voi meridionali", "voi settentrionali" (io sono originario del Centro), "voi giovani", "voi vecchi", e che mi vengono attribuite colpe altrui che non ho mai approvato.
Anch'io una volta dicevo che l'esistenza di certe infamie rendeva complici, ma credevo che almeno ci affrancasse la pubblica dissociazione, se non anche la lotta contro queste. Ma a volte combattere la cosa significava darsi una colorazione politica, destando la rabbia da parte avversa. Non si chiede mai se una cosa sia giusta o sbagliata, ci si chiede se sia di destra o di sinistra, se sia "nostra" oppure "loro". Tanto per dare qualche esempio, tanti anni fa a una assemblea, dopo una mia breve dichiarazione venni definito "fascista" dall'oratore successivo (che era di Potere Operaio mi sembra) e "maoista" da un altro, di destra. Per lo stesso discorso, è utile ribadire. Oppure come appartenente alla categoria di "voi maschilisti"..., quando mia moglie era viva ero io a lavare i piatti, e c'è stato un periodo in cui lei dirigeva una azienda e io badavo alla casa... Sono anche sempre stato dalla parte delle rivendicazioni delle donne, ma per molte io resto un "maschilista".
Insomma, io considero le persone per quello che sono e per quello che fanno; non per la categoria, spesso arbitraria, cui appartengono. Mi aspetterei che gli altri facessero lo stesso con me; ma visto che questo proprio non accade, allora è necessario che 
                                                     dichiari

LA MIA SECESSIONE DAL GENERE UMANO

per mia tranquillità morale.  Ferruccio Alessandri, da Milano

Anna scrive

Anna mi scrive queste sue riflessioni su un convegno che ha frequentato e che le ha stimolato queste interessanti note:

sono appena tornata da un convegno regionale di educatori dei SER.T. (Servizi per le tossicodipendenze), a cui ho partecipato perchè in quello di Rovigo sto facendo il tirocinio. Sono stati presentati i vari progetti messi in campo dalle unità locali. Molti di questi riguardavano la prevenzione promossa attraverso la formazione dei "Gruppi dei Pari" per operare sia nelle scuole che nelle attività extrascolastiche (fuori da discoteche etc..). Di essi si è detto, tra l'altro, che sono dei GRUPPI DI MEDIAZIONE CULTURALE. L'affermazione mi ha lasciata un po' perplessa, perchè ho la sensazione che sia uno "stratagemma" degli adulti per nascondere la loro inadeguatezza ad affrontare le reali cause del disagio giovanile, che secondo me sono proprio loro (gli adulti). Affermare, infatti,  la necessità di "mediazioni culturali" tra diverse generazioni (che differiranno di circa 30 anni)  appartenenti a stessi contesti,  significa riconoscere un "vuoto" che non può che essere stato creato dagli adulti,  i quali non sono stati in grado di partecipare consapevolmente alla crescita dei loro ragazzi, proponendo loro dei modelli di vita e negoziando con loro gli inevitabili aggiustamenti, ritrovandosi così   degli "estranei". E quando parlo di adulti e ragazzi, non mi riferisco solo a genitori-figli, insegnanti-studenti, che sono le prime catene della trasmissione intergenerazionale di cultura, ma allargando i cerchi di Brofenbrenner, anche a tutto il macrosistema, che non prevede più situazioni e contesti  generali in cui il confronto generazionale possa avvenire con modalità graduali, diventando così forma di sviluppo (penso, ad es.  ai bar di paese in cui giovani e anziani  giocavano abitualmente a carte assieme, oppure alla scuole di partito in cui i giovani venivano formati dagli adulti  alle idee politiche).
Una felice eccezione possiamo considerarla i corsi universitari che stiamo frequentando, dove questo confronto sembra trovare uno spazio per svilupparsi con accoglienza e competenza
Un cordiale saluto
Anna



martedì 29 novembre 2011

intolleranza e conflitti tra identità

mercoledì scorso vi avevo girato, inoltrato, una mail da me ricevuta sull'Olocausto e l'avevo fatta precedere da queste mie righe:
A proposito di affermazione prepotente di una identità e di negazione violenta di identità altre.... scusatemi, ma vi giro questa mail che ho ricevuto oggi. 
Da allora questo grande sterminio continentale è divenuto il riferimento obbligato per chi voglia a partire da là ripercorrere tutti i purtroppo numerosi stermini di massa che sono seguiti nei decenni successivi... (Hiroshima-Nagasaki, spartizione dell'India britannica, le violenze brutali dei razzisti nei paesi coloniali, tra cui lo sterminio degli aborigeni australiani, e americani, e poi i massacri apocalittici in Cambogia, o in Rwanda/Burundi, la lacerazione intestina inter-jugoslava tra serbi-croati-bosniaci, la distruzione della Cecenia, la cancellazione della civiltà del Tibet, il sud-ovest del Sudan, gli stermini di civili in Algeria, nel Libano, nella Somalia, in SriLanka, eccetera eccetera eccetera!) che vanno al di là di "semplici" guerre tra contendenti, o di repressione di oppositori, e che sembrerebbero rendere vana la speranza che basti la memoria storica perché questi orrori folli non abbiano mai più a ripetersi... e fanno sì che divenga troppo difficile perdonare la disumanità dell'Uomo, dato che lo rendono la bestia feroce più temibile per l'essere umano ... ... ...

   Mi aveva dato riscontro Anna, che mi diceva:
assieme ai terribili stermini che ha citato, mossi dalla volontà di negare identità altre,  aggiungerei quello degli Armeni ad opera dei Turchi: libro e film della Masseria delle Allodole lo descrivono in tutta la sua crudeltà e mi rimane incomprensibile capire la ritrosia che c'è ancora nel voler riconoscerlo in tutta la sua gravità, cioè senza se e senza ma
  
E poi ora mi scrive Serena:
Abbiamo così paura della diversità, credo sia insito nell'uomo aver paura di ciò che non si conosce che è diverso. Questo è naturale.
Quando però la paura va oltre, si muta in vero e proprio terrore e poi questo, successivamente in odio, ripudio, la semplice umana inclinazione diventa PATOLOGIA.
Se questa non viene eliminata, curata, estirpata come un'erba nociva contamina tutto, distrugge e annienta sè stessa e tutto ciò che le sta intorno.

le ho risposto:
grazie Sere, provo i tuoi stessi sentimenti, e mi sento offeso dalle brutture che la storia ci mostra. Ahimé purtroppo la contraddizione insita nei princìpi stessi delle libertà democratiche impone di consentire anche ai loro oppositori più estremi la libertà di espressione, comunicazione, e organizzazione; se non si fosse liberi di criticare, contestare, contrastare anche radicalmente un sistema democratico, allora questo non sarebbe tale... La libertà è di tutti o non è; la democrazia anche.
Lo so è sconcertante.... Diceva Voltaire ai suoi avversari gesuiti fondamentalisti che avrebbero volentieri messo l'eretico al rogo: voi vorreste impedirmi di esprimere i miei pensieri, ma il giorno in cui dovessi essere io al potere state certi che non lo impedirò mai a voi.
   

lunedì 28 novembre 2011

altra recensione


"La metamorfosi" è forse il racconto più conosciuto di Kafka. Narra la storia di un modesto impiegato, Gregor Samsa, che un giorno si sveglia e si accorge di essersi tramutato in un immondo insetto bitorzoluto, un vero scarafaggio-umano ripugnante e abietto.
La sua mutazione è irreversibile. 
In questa bellissima opera confluiscono due delle tematiche più care al grande narratore: da un lato l'alienazione e la spersonalizzazione che la società impone ai suoi membri, e che porta ad estremi di tecno-burocrazia insostenibili per l'individuo, tematica peraltro eccellentemente espressa soprattutto ne "Il processo"; dall'altro lato si evince il rapporto problematico padre-figlio, in cui il genitore assume un ruolo sia di una rigida e severa autorità, sia di dominio e monopolio schiacciante e asfissiante sull'estro, la libertà e l'intraprendeza filiare. Ecco quindi giungere per il figlio la resa dei conti, che si concretizza in quella che viene chiamata nemesi kafkiana: il figlio, ormai soggiogato, ed anche per questo ripugnante a sé stesso, ecco che si trasmuta in un insetto, viscido, spregevole, avvilito. E, ciononostante, irriducibile pare ancora il contrasto e lo scontro figlio-padre-famiglia, arrivando alla sua risoluzione unicamente con l'annientamento totale e l'annichilazione tanto delle
aspirazioni quanto dell'ego.
Questo strepitoso racconto di Kafka è uno dei più citati dai contemporanei, soprattutto a riguardo della spersonalizzazione dell'individuo, causata da contingenze intrinseche al modo di rapportarci con gli altri e con la società intera. Ma questo volume va oltre, e diviene emblema dell'introversione, della sensibilità frustrata, dedl'incertezza dell'ego che infine viene ad essere soggiogato da un condizionamento esterno, una imposizione extrapersonale dai caratteri forti e imperiosi.
Eleonora, in: nonsoloscacchinews NUMERO 5 ANNO II martedì, 30 settembre 03
http://it.geocities.com/

recensione


" La macchia della razza. Lettera alle vittime della paura e dell'intolleranza " di Marco Aime 
(Edizioni Ponte alle Grazie, pp. 96, €uro 8). 
Dragan è un bambino. Ma è un bambino rom? Bisogna schedarlo, prendergli le impronte. Come a tutti gli stranieri che invadono il nostro paese e le nostre città. Il razzismo non c'entra. È che bisogna tenerli sotto controllo, rispedirli a casa prima che ci infastidiscano ai semafori, saccheggino nelle nostre case, stuprino le nostre donne.... rapiscano i nostri bambini...
Perché la nuova parola d'ordine dei nostri politici è "sicurezza". Non c'è quotidiano o telegiornale che non tenga a specificare la nazionalità o l'etnia del criminale di turno quando è straniero  - rumeno, albanese, marocchino, afgano - quando invece andrebbero ricordate le vittime della tragedia dell'immigrazione clandestina e del razzismo strisciante nel nostro paese. Eppure "noi" italiani-brava gente, qualche decennio fa eravamo proprio come "quelli lì", guardati con sospetto, maltrattati, offesi, quando cercavamo lavoro e fortuna in paesi stranieri. La storia non ci ha insegnato proprio nulla, sembra dirci Marco Aime, e allora certe cose bisogna ripeterle, e ripeterle ancora, perché la macchia del razzismo scolori, per poi un giorno..... sparire per sempre.

domenica 27 novembre 2011

multiculturalismo

L'allarme lanciato dal Rapporto sullo Sviluppo Umano 2004 dell'Onu, da corriere.it
articolo di Daniele Castellani Perelli del 15 luglio 2004 :

Identità culturale
«La liberazione dalle identità rigide e il multiculturalismo sono le soluzioni possibili»

da NEW YORK - Ma il mondo ai tempi della globalizzazione sta progredendo o no, nel rispetto delle identità culturali? Il Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2004, redatto dall’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), ha lanciato l’allarme, pur individuando esempi positivi nella risoluzione di conflitti dovuti alle identità culturali. Un dato su tutti: secondo il progetto Minorities at Risk, sono circa un miliardo le persone sottoposte a una qualche forma di esclusione a causa della loro appartenenza a un certo gruppo, l’equivalente di una persona su sette nel mondo intero. Esclusione che semplificando si riduce a due tipi, la negazione del proprio modello di vita e della propria partecipazione.

UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE - Il rapporto, che quest’anno ha come titolo «Identità e differenze culturali in un mondo unito» e che è edito in Italia dalla Rosenberg & Sellier Editori, riconosce l’identità culturale come un diritto umano, al pari della sanità, dell’istruzione, della libertà politica e di uno standard di vita dignitoso, perché è un diritto «fondamentale per la capacità delle persone di vivere come vorrebbero». Il documento però non si ferma qui, e avanza proposte concrete, tutte all’insegna del multiculturalismo e di una politica che sappia coniugare le diversità con il liberalismo, perché il protezionismo e il nazionalismo non possono essere la risposta.

CINQUE MITI DA SFATARE - Per dimostrare che il multiculturalismo (ovvero il rifiuto dell’assimilazione delle varie identità in un unico standard culturale)  può rappresentare la soluzione, il rapporto cerca di smontare cinque «miti». Il rispetto profondo delle differenze, anzitutto, non mina l’unità dello stato, perché ogni individuo può scegliere di identificarsi con molti gruppi diversi (di cittadinanza, di genere, di etnia, di lingua, politico o religioso) e perché la nuova sfida è proprio la creazione di stati eterogenei e unificati. Non è poi vero che i gruppi etnici sono propensi al conflitto violento a causa dei differenti valori, perché al contrario le cause degli scontri sono sempre economiche. È falso che la libertà culturale richieda la tutela di ogni pratica tradizionale, qualunque essa sia, e che i paesi con diversità etniche abbiano meno possibilità di sviluppo economico, come dimostrano Malaysia e Mauritius. Non è vero, infine, che alcune culture siano più fertili per la diffusione della democrazia: un’indagine condotta sui World Values indica che le persone dei paesi musulmani, ad esempio, sostengono molti valori di quanti abitano nei paesi non musulmani.      
LE SOLUZIONI POLITICHE - E in concreto, cosa si dovrebbe fare? Garantire la partecipazione politica delle minoranze, magari attraverso intese federali (Spagna) o leggi elettorali proporzionali (Nuova Zelanda). Garantire la libertà religiosa, specialmente attraverso il riconoscimento delle festività (India) e delle norme sul matrimonio, sull’eredità e sulla sepoltura. Attuare politiche per il pluralismo legale e linguistico e favorire l’uguaglianza socio-economica tra i vari gruppi. Difendere gli indigeni, i saperi tradizionali e i beni culturali. Fornire sostegni adeguati per l’integrazione degli immigrati, come viene fatto in Germania, dove vengono messi a disposizione efficienti e gratuiti  corsi di lingua e servizi per la ricerca di un lavoro conforme alle proprie competenze.
UN DISCORSO D’ATTUALITA’ - «Le persone si stanno nuovamente mobilitando intorno alle vecchie ingiustizie etniche, religiose, razziali e culturali – spiega il documento delle Nazioni Unite – e pretendono che le loro identità vengano riconosciute, rivalutate e accettate dalla società nel suo complesso». Agli intolleranti bisogna rispondere con la democrazia, che in Austria ha costretto la FPÖ a moderare le proprie posizioni. La democrazia formale, però, non basta, visto che in molti di questi regimi esistono «minoranze prive di un’adeguata rappresentanza politica e per le quali le vessazioni e le difficoltà nell’accedere ai servizi pubblici rappresentano il prezzo quotidiano da pagare». La globalizzazione, con la conseguente accelerazione della migrazione e delle comunicazioni internazionali, sta rendendo sempre più attuali i conflitti dovuti alle identità culturali, come dimostrano le vicende della proibizione del velo islamico nelle scuole francesi, e delle violenze quotidiane in Kosovo, il dibattito sulla rappresentanza di sciiti e curdi nel nuovo Stato iracheno, e sulla lingua spagnola negli Stati Uniti. Il rapporto, più che un documento scientifico, è un’ambiziosa proposta politica. Che sembrerà anche ingenua, ma che almeno possiede il dono della chiarezza. Le Nazioni Unite non hanno dubbi: la risposta ai conflitti identitari è nella liberazione dalle identità rigide e nel multiculturalismo. "
(15 luglio 2004)
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Per l'ultimo Rapporto, quello del 2010 (in occasione del suo 20° anniversario), vedi:
http://hdr.undp.org/en/media/hdr04_it_overview.pdf

venerdì 25 novembre 2011

Kenya 2002, n. 9: all'interno

La famosa doppia "porta", entrata e uscita, della città di Mombasa:




nei dintorni fuori città, lontani dalle zone turistiche, la realtà del Paese oggi
















il nostro autista

più dentro, verso la campagna



(per ora le nove puntate sul Kenya terminano qui, forse più avanti metterò le foto di Watamu e di Lamu)

kazi mzuri =good bye
carlo_pancera@libero.it

Kenya 2002, n. 8: la costa

A poche decine di metri dalla costa a nord di Mombasa, nei pressi della barriera corallina, si trova una sorta di vero e proprio parco naturale marino, ricchissimo di specie




                                                                         la fine della barriera









Si tratta del banco semiaffiorante dei sedimenti madreporici che si trova vicino a riva dopo una parte con fondo sabbioso, questa barriera madreporica emerge con la bassa marea, e invece resta sommersa, abbastanza da lasciar navigare delle imbarcazioni, con l'alta marea.
Perciò molte forme di vita restano nel loro ambiente vicino alla tana, e divengono ben visibili sotto il pelo dell'acqua trasparente e limpida; 
ma poi anche tornati a riva troviamo presenze interessanti:

un grosso iguana

un grande ragno

un specie di canarino giallo

Poi un vero splendore è il vero ed autentico Parco Nazionale Marittimo che sta a Watamu, più a nord, e infine andando più a nord ancora, sempre per chi ama la fauna sottomarina c'è da visitare Lamu e la costa nei dintorni (e ne vale senz'altro la pena).

(continua)

Kenya 2002, n. 7: Il parco naturale di Tsavo est - 3

Le guardie del Parco, e (sotto) una inserviente, all'ingresso


riprendiamo il nostro "safari" fotografico


uno dei big five, dei cinque grandi più pericolosi della savana, è il bufalo
(gli altri sono: elefante, leone, leopardo, e rinoceronte)





                        l'antilope Topi

una stupenda "gattona"



facoceri

          
bufalo nero, detto bufalo cafro

una specie di antilope chiamata Kobo

(le tre puntate sullo Tsavo N.P. terminano qui, mentre il diario fotografico del Kenya continua)