domenica 24 giugno 2012

qual'è la misura dell'Uomo?

"La misura dell'Uomo non è la sua intelligenza. Non è il livello che la specie umana può raggiungere nel sistema dei fenomeni di Natura. La misura di un essere umano è questa: con quale rapidità sa reagire ai bisogni di un'altra persona? e quanto di se stesso può dare? quando il dare è autentico dare, cioè non per ricevere qualcosa in cambio ..."

(...riferendosi a una possibilità che al protagonista faceva paura, la ragazza disse:) "...però è improbabile, e si deve avere fiducia in ciò che è probabile, non in ciò che è soltanto possibile. Qualsiasi cosa è possibile.. (...) Ma questo è rassicurante, lo capisci? Significa che puoi sempre sperare (...). Ma questo non è grandioso? non vedi quanto è grandioso?".

(Philip Dick, Nostri amici da Frolix8, 1969, trad.it. Fanucci editore, 2006,  p. 43 e p. 46) 

sabato 9 giugno 2012

Istria

Sono in Istria, una bellissima regione multietnica, ora in Croazia, dove molti ancora parlano un dialetto istriano-veneto, e molti sono i segni lasciati da una lunga storia di appartenenza alla repubblica veneziana di San Marco. Su questa bella terra con la sua bella gente, vi rinvierei a quanto già avevo scritto in un Post in questo blog il 28 luglio dell'anno scorso (intitolato: "tempi sovrapposti").
Qui non ho accesso a internet, e debbo andare apposta ad un internet-point nel paesino vicino, per questo leggerò solo ogni tanto le vostre mail...
Noi stiamo in un paesino sul mare, una piccola frazione del comune di Umago, nel golfetto di Lovrecica (San Lorenzo), sulla riva di fronte si vede solo verde, c'è un campeggio, e dunque ci sono solo pini marittimi e altri alberi, la costa è di scogli, l'acqua pulita e cristallina, l'aria piena di ossigeno e c'è sempre brezza. Alle spalle inizia subito la bella campagna istriana con tante colline (qui c'è ancora la campagna, mentre da noi oramai c'è quasi solo agricoltura). Sul mare si mangia buon pesce fresco, e poi comperiamo frutta e verdure dai contadini che hanno una loro bancarella coi prodotti dell'orto. all'interno si mangia buona carne. Ci sono cittadine su penisole, molto carine e storiche (come Umago, Cittanova, Parenzo, Rovigno) e all'interno arroccate sulla cima delle colline (come la deliziosa Grisignano) con case fatte in pietra d'Istria, bianca o rosata.
E' molto bello venire nella bassa stagione. Ma a SanLorenzo non c'è mai tanta gente, è fuorimano. C'è solo un bar, un baracchino che vende pane, e un'altro sul molo con i gelati, nessun altro negozio, alcune trattorie all'aperto sul mare, nessuna insegna luminosa. Per la spesa si va ad un supermarket in periferia di Umago. A mezzogiono a volte andiamo a mangiare degli spiedini nella pineta, e spesso a cena mangiamo in una trattoria nella piazza del paesino di campagna di Babici, vicino a dove c'è la scuola di canto corale e anche il locale dove vanno a provare quelli della banda del paese.
Ci sono diverse passeggiate da fare, e piste ciclabili. Io vado lungo il mare verso Karigador. Mentre ad es. per le Banche, o certi negozi ecc. o andiamo in centro a Umago, o meglio a Buje anch'essa in cima a una collina, da cui si vede in lontananza la costa e la distesa del mare. E per internet andiamo in un bar a Spina nel bel golfetto di San Giovanni.
A SanLorenzo stiamo in un "villaggetto" dove si concentrano soprattutto italiani, così alla sera facciamo delle chiacchierate. a San Lorenzo c'è silenzio e molta calma. Sono sempre molto belli i tramonti, e le notti stellate (varie volte c'è stata la "luna rossa"), è anche bello al mattino guardare le barche dei pescatori che ritornano al porticciolo. Ci sono gabbiani, cormorani, e vari uccelli che tengono compagnia. A volte facciamo delle gite nelle altre cittadine come Parenzo, Cittanova, o Rovigno), oppure a Pola, o alla punta sud che è una zona naturale protetta molto bella (Premantura). A volte andiamo alle terme di Santo Stefano (tra Motovun e Buzet), o come dicevo a Grisignano (Groznian) dove ci sono tanti bei negozietti di artigianato di qualità, mercatini, musica.

mercoledì 6 giugno 2012

lettera di C.Lucarelli al Signor Terremoto

Anna B. mi manda questo testo che volentieri vi giro in lettura.
:-)
A voi, cari amici Emiliano-Romagnoli, con un caro abbraccio
Anna



Gentile Sig. Terremoto,

c'è una cosa che non hai capito della mia terra, ora te la racconto.

Per chiamarci non basta una parola sola : Emilia Romagna, Emiliano Romagnoli, ce ne vogliono almeno due e anche un trattino per unirle, e poi non bastano neanche quelle.

Perché siamo tante cose, tutte insieme e tutte diverse, un inverno continentale, con un freddo che ti ghiaccia il respiro, e una estate tropicale che ti scioglie la testa, e a volte tutto insieme come diceva Pierpaolo Pasolini, capaci di avere un inverno con il sole e la neve, pianure che si perdono piatte all’orizzonte, e montagne fra le più alte d’Italia, la terra e l’acqua che si fondono alle foci dei fiumi in un paesaggio che sembra di essere alla fine del mondo.

Città d’arte e distretti industriali, le spiagge delle riviere che pulsano sia di giorno che di notte, e spesso soltanto una strada o una ferrovia a separare tutto questo; e noi le viviamo tutte queste cose, nello stesso momento, perché siamo gente che lavora a Bologna, dorme a Modena, e va a ballare a Rimini come diceva Pier Vittorio Tondelli, e tutto ci sembra comunque la stessa città che si chiama Emilia Romagna.

Siamo tante cose, tutte diverse e tutte insieme, per esempio siamo una regione nel cuore dell’Italia, quasi al centro dell’Italia, eppure siamo una regione di frontiera, siamo anche noi un trattino, una cerniera fra il nord e il sud, e se dal nord al sud vuoi andare e viceversa devi passare per forza da qui, dall’Emilia Romagna, e come tutti i posti di frontiera, qualcosa dà e qualcosa prende a chi passa, e soprattutto a chi resta, ad esempio a chi è venuto qui per studiare a lavorare oppure a divertirsi e poi ha deciso di rimanerci tutta la vita… in questa terra che non è soltanto un luogo, un posto fisico dove stare, ma è soprattutto un modo di fare e vedere le cose.

Perché ad esempio qui la terra prende forma e diventa vasi e piastrelle di ceramica, la campagna diventa prodotto, e anche la notte e il mare diventano divertimento, diventano industria, qui si va, veloci come le strade che attraversano la regione, così dritte che sembrano tirate con il righello.

E si fa per avere certo, anche per essere, ma si fa soprattutto per stare, per stare meglio, gli asili, le biblioteche, gli ospedali, le macchine e le moto più belle del mondo.

In nessun altro posto al mondo la gente parla così tanto a tavola di quello che mangia, lo racconta, ci litiga, l’aceto balsamico, il ripieno dei torellini, la cottura dei gnocchini fritti e della piadina e mica solo questo, sono più di 4000 le ricette depositate in Emilia Romagna; ecco la gente lo studia quello che mangia, perché ogni cosa, anche la più terrena, anche il cibo, anche il maiale diventa filosofia, ma non resta lassù per aria, poi la si mangia. Se in tutti i posti del mondo i cervelli si incontrano e dialogano nei salotti, da noi invece lo si fa in cucina, perché siamo gente che parla, che discute, che litiga, gente che a stare zitta proprio non ci sa stare, allora ci mettiamo insieme per farci sentire, fondiamo associazioni, comitati, cooperative, consorzi, movimenti, per fare le cose insieme, spesso come un motore che batte a quattro tempi, con una testa che sogna cose fantastiche, però con le mani che davvero ci arrivano a fare quelle cose li, e quello che resta da fare va bene, diventa un altro sogno.

A volte ci riusciamo a volte no, perché tante cose spesso vogliono dire tante contraddizioni. Che spesso non si fondono per niente, al contrario non ci stanno proprio, però convivono sempre.

Tante cose tutte diverse, tutte insieme, perché questa è una regione che per raccontarla un nome solo non basta.

Ora ti ho raccontato quello che siamo, non credere di farci paura con due giri di mazurca facendo ballare la nostra terra, io questa terra l’amo e come mi ha detto una persona di Mirandola poche ore fa… questa è la mia casa.

Carlo Lucarelli.
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grazie Lucarelli. tutto vero, e tutto giusto. ci voleva qualcuno che ci tirasse un po' su di morale...!
Però purché con tutto ciò, non si sorvoli poi un po' troppo sui gravi problemi esistenti. Al di là dell' ennesima pacchia per le Banche con la raccolta dei fondi pro-poveri terremotati, in cui non ci si racconta mai che cosa si progetta di fare, a chi darli, e cosa si stia facendo sin d'ora.... con 'sti soldi... Ma c'è il problema dell'economia che va a rotoli, del mercato del lavoro che perde pezzi da tutte le parti, e di come si possa fare per far sì che certa gente si possa ri-tirare su (e non solo di morale per un momento), quando ha perso i magazzini, la merce, i capitali, e dovrà lasciare a casa i lavoratori, e  presto si ritroverà senza clienti...  (che intanto si rivolgeranno altrove). E poi c'è chi ha perso pure la casa stessa ... Ma chi li aiuterà? e quando i fondi raccolti saranno stati tutti distribuiti? Comunque lo sappiamo che per aver accesso agli aiuti (pochi e scarsi) dello Stato bisogna presentare domanda compilando un modulo, e documentando tutto, e poi bisogna attendere che una commissione (chi?) decida a chi dare, e quanto e come. Ma lo sapete che i moduli ancora neanche sono stati stampati? non esistono proprio. Comunque prima o poi qualcosa si farà (chi gestisce il tutto?) e poi mi dicono che manca totalmente informazione e soprattutto coordinamento e comunicazione tra i soggetti preposti... (e che non c'è una progettazione).
Ma fra dieci o venti mesi, chi ci penserà più a questa gente? E quelli che ora sono provvisoriamente ospitati in sistemazioni di emergenza, e usufruiscono di un letto e di una mensa, fra un po' vedranno queste strutture chiudere... lo sanno che sono provvisorie? stanno cercando casa? e lavoro? lo trovano?
Intanto si debbono pagare le tasse per l'anno scorso, e il valore sul mercato di immobili e di beni è drasticamente crollato...
Insomma non dimentichiamoci quali gravi problemi sociali ed economici (per non accennare neppure allo stress psicologico, nervoso, e morale ...) sono in ballo in questo momento, dicendo e dicendoci che la gente emiliana è forte e intraprendente, e così consolandoci e guardando con fiducia all'avvenire....(?). La realtà per ora è che l'Emilia ha subito un grave colpo, e che domani molta gente sarà povera sul serio...

lunedì 4 giugno 2012

Le pietre peruviane di Ica: un fantastico viaggio nel tempo nel sud del Perù

L’enigma archeologico degli antichissimi graffiti sulle "pietre di Ica" (o di Ocucaje) in Perù

Nell’aprile 2004 andammo io e il mio amico Beniamino a fare un viaggio in Perù (vedi diario postato il 26 luglio 2011), dove lui era stato un paio di anni prima, ed aveva avuto occasione di vedere la collezione di antiche pietre incise, raccolte dal dottor Cabrera nel suo museo privato nella cittadina di Ica, nel sud del paese, tra la penisola di Paracas e il pianoro di Nazca famoso per i misteriosi e antichi disegni giganteschi raschiati sul terreno. Giungemmo a Nazca scendendo dalle Ande, e un paio di giorni dopo,  attraversando il deserto di Ocucaje, con la fuoristrada Toyota 4x4 Runner - Full equipe che avevamo affittato, arrivammo a Ica. I dettagli del nostro itinerario li potete leggere sul mio diario di viaggio (che ho messo su questo blog nel luglio 2011, alcune foto sono anche su FaceBook).
Una volta iniziata la discesa dopo la riserva nazionale di Pampa Galeras, il paesaggio è arido e sterminato, solo rarissimi cactus, e poi un susseguirsi di colline di terra e sabbia. La piana di Nazca non è altro che un immenso tavoliere secco, poi inizia un deserto di sabbia e polvere grigia, con pochissimi piccoli agglomerati di misere casupole di povera gente. Per cui la città di Ica appare come una sorta di oasi a sé stante. La città fu fondata dal conquistador spagnolo Don Jeronimo Cabrera, un avo del sopracitato dottor Javier Cabrera lungo il corso del rio Ica, che consente l’approvvigionamento idrico indispensabile in questo territorio desolato.
Ma non voglio parlarvi del mio viaggio, bensì di pietre con strani disegni incisi, che sarebbero forse resti di una civiltà molto più antica non solo della civiltà degli Incas (XIII-XVI sec. d.C.), ma più antica anche della civiltà di Nazca, e di quella di Paracas (800-100 a.C.), sorte tempo prima in zone vicine all’attuale Ica, e anche di quelle a loro precedenti (Chavìn, Moche, Chimù, ecc. sorte tra 1200-300 a.C.), poi conquistate dagli Incas, …ma che sia risalente addirittura alle primissime società e culture umane del Sudamerica.
Di questi reperti si parla assai poco, e in traduzione italiana esiste solo il volume di duecento pagine di C.Petratu e B.Roidinger, del 1994, pubblicato dalle edizioni Mediterranee nel marzo 1996, da cui traggo i dati relativi.

E’ dimostrato che in un periodo che va approssimativamente tra i 50 mila anni fa e i 12 mila circa, l’attuale stretto di Bering che separa di 80 Km. la Siberia orientale dall’Alaska, era percorribile essendovi una superficie ghiacciata. Generalmente si sostiene che i più antichi esseri umani delle Americhe sarebbero coevi ai resti ritrovati a Pedra Furada, in Brasile, e a Monte Verde in Cile, e datati rispettivamente 33 mila e 40 mila anni orsono, ovvero si suppone che essi fossero discendenti di cacciatori siberiani che passarono attraverso quel "ponte" inseguendo mandrie di mammuth, bisonti e renne. Lo documentano le straordinarie pitture rupestri nelle grotte brasiliane del Parco archeologico di Serra da Capivara, nel Nord-Est, di circa 25 mila anni fa.
Ma alcuni rinvenimenti degli ultimi decenni, sembra che possano mettere in dubbio queste affermazioni da tempo consolidate (e forse anche altre). Come è noto alcuni studiosi delle grandi sculture monolitiche dell’isola di Pasqua (Rapa-Nui), avanzano l’ipotesi che vi fossero anticamente dei contatti tra la costa del Sudamerica e le isole del Pacifico. Il famoso avventuroso viaggio compiuto nel 1947 e poi nel 1955 dal navigatore norvegese Heyerdhal con una imbarcazione da lui chiamata Kon-tiki, costruita con i materiali e le tecniche delle popolazioni aborigene del lago Titicaca sulle Ande, era teso appunto a dimostrare che ciò era possibile. Quindi o i primi abitanti degli arcipelaghi del Pacifico provenivano dal continente sudamericano, oppure i primi abitanti del Sudamerica potrebbero essere giunti dal mare ben prima dei tempi sino ad allora supposti per l’inizio di culture locali, e forse anche prima della apertura di un passaggio sullo stretto di Bering. 
Ma alcuni altri studiosi aggiungono addirittura che i primi uomini del continente americano potrebbero essere invece frutto di una evoluzione autoctona, non solo precedente dunque i venti o quaranta mila anni fa, sin’ora contemplati. Il che aprirebbe la porta per considerare diversamente la storia della evoluzione della nostra specie e delle sue ramificazioni, o almeno per valutare la possibilità di uno sviluppo di civiltà del tutto autoctone, che presero anche contatti con altre civiltà lontane, ma che nacquero localmente in modo indipendente in periodi più lontani nel tempo di quanto si fosse sin’ora contemplato.
Le prime pietre incise con strani e originali disegni, furono ritrovate nell’area del deserto di Ocucaje a seguito di una esondazione del rio Ica nel 1961, e alcuni anni dopo il dottor Cabrera, un medico chirurgo, docente di biologia alla locale università, cominciò ad interessarsene e inviò nel 1967 alcune di queste pietre alla società di ingenieria mineraria perché le esaminasse. L’analisi riguardò il sottile strato di ossidazione che ricopriva i graffiti. I risultati furono molto curiosi tanto che le pietre furono inviate in Germania alla università di Bonn per un riesame. Ne emerse che le incisioni dovessero avere almeno 12 mila anni, e non si poteva escludere che fossero anche più antiche, ma gli stumenti e i metodi di analisi disponibili non potevano a quel tempo accertarlo con esattezza.
Ancora oggi il prof. Clarbruno Vedruccio, dell'università di Urbino, che ha esaminato queste pietre dice che con i nostri attuali mezzi tecnici non si riesce se non con grosse difficoltà e malamente a tagliare o incidere queste pietre e che quindi è sorprendente che vi siano incisioni e disegni così precisi tanto più che esse sono state ritrovate in strati appartenenti a varie decine di millenni orsono.
Il museo regionale di Ica ne custodì alcune, ed alcune furono inviate ad un archivio del Centro dell’Aereonautica a Lima la capitale. Sembrò ad una prima occhiata che certi disegni riguardanti animali potessero assomigliare a quelli dei tracciati di Nazca. Ma poi ad un esame più attento, risultò che non solo possedevano un stile del tutto originale, ma che alcuni degli animali raffigurati avevano molte somiglianze con specie estinte dall’epoca dei dinosauri…




Quando andammo, io e il mio amico, lungo la costa nella zona della penisola di Paracas, e poi anche a nord verso Pisco, avevamo visto che emergevano dalla sabbia, a causa del vento che sollevava sabbia e polvere, alcune ossa e parti di scheletri bianchissimi, che ci dissero essere appartenenti a delfini e pescecani. Quando ci fermammo per pranzare, potemmo constatare più da vicino e con più calma che certi erano di grandi dimensioni, e in effetti alcuni ci dicevano che erano scheletri di balene, che compiono il loro viaggio dall’Alaska alla punta sud del Sudamerica. Ma alcuni erano particolari e ci dissero che quelli forse erano di antichi mastodonti; anche gli scheletri di pescecani che emergevano dal terreno erano veramente molto grandi, e forse appartenevano a specie simili ma precedenti i pescecani attuali… Pare che siano di animali vissuti circa quindici milioni di anni fa. Altri sarebbero del Cenozoico. Si possono facilmente trovare anche resti di fossili.
All’inizio del Novecento l’archeologo e paleontologo argentino F. Ameghino ritrovò dei resti ossei e di scheletri di uomini precursori degli aborigeni della Patagonia (allora in parte ancora presenti sul territorio), e ciò che più fu sorprendente è che fu ritrovato un pezzo di cranio umano in strati del terreno relativi al periodo del Miocene … e lì vennero trovati anche alcuni utensili, e altri oggetti. Si pensò ad un errore di valutazione, ma comunque andava data una spiegazione che rimase in sospeso. A 800 km da Buenos Aires sulla costa atlantica fu trovato il femore di un toxodonte (un erbivoro, che sembra un paleo-ippopotamo, anch’esso del Miocene) con infilata una punta di lancia in quarzite.
Ovviamente non possiamo sapere se i resti umani fossero lì da allora, oppure se questi umani avessero scavato molto in profondità per lasciare questi oggetti o i loro defunti accanto a quei grandi resti di antichi animali. Se gli uomini preistorici riconobbero in certi scheletri i resti di animali a loro sconosciuti, allora potrebbero averli considerati come venerabili e sacri, e potrebbero aver approfondito la loro conoscenza osservandone vari esemplari.
Tutto ciò, oltre a far supporre che vi fossero gruppi umani nativi, precedenti alle immigrazioni dal Pacifico, o dal nord (Bering), può suggerire che in Sudamerica l’evoluzione portò ad un processo di ominazione in tempi più antichi di quanto avvenne in Africa del sud-est. Si potrebbe anche pensare a collegamenti tra quei due continenti (che un tempo erano tra loro molto più vicini di oggi).
Si dice che dagli antropidi primordiali deriverebbero gli antropidi attuali (e non solo gli ominidi) quali il gibbone, l’ orangutan, il gorilla e lo scimpanzé, ma queste specie non esistono in Sudamerica, né sono stati trovati fossili di antropidi. Tuttavia alcuni decenni fa una spedizione che si era addentrata in profondità nella foresta vergine del Venezuela incontrò una coppia di grandi antropidi, il maschio riuscì a sfuggire, mentre la femmina rimase uccisa. Di altezza superiore al metro e mezzo, fu posta in posizione seduta, sostenendola con un bastone, e fu fotografata. Apparteneva ad una specie senza coda, a noi sino ad allora sconosciuta, ed è un tipo di scimmia la più somigliante ad un ominide.
Un paio di cosiddetti Dryopiteci e di Ramapiteci (antropidi primordiali) furono rinvenuti sia in India che in Africa. Forse i primi antropidi e i primi ominidi sono comparsi molto prima di quanto si suppone sulla base della quasi totalità dei resti rinvenuti, e forse appartenevano all’antico grande continente afro-sudamericano, o a quando le due parti erano ancora abbastanza vicine…
Anche in Colombia, nella provincia di Tolima, fu trovato nel 1971 dall’antropologo Henao Martin della università del Quindio, un cranio di uomo preistorico assieme allo scheletro fossilizzato di un Purusauro, i resti del ritrovamento sono conservati negli archivi della sua università. La paleontologa Mary Leakey trovò nel 1974 presso l’alveo disseccato del fiume Laetolli, vicino ad Oldoway in Tanganyka (Tanzania) denti e ossa che ritenne non essere di australopitechi, e che sarebbero in quel caso i più antichi resti di ominidi sin’ora conosciuti. Ma essendo la loro datazione considerata troppo lontana nel tempo, la scoperta resta per ora di valore dubbio.
Questi ed altri elementi fanno sì che alcuni pensino ad una revisione delle attuali cronologie, e prendano in considerazione l’ipotesi che in Sudamerica si sia avuto un percorso evolutivo autonomo, che portò alla formazione di esseri umani “cugini” di quelli attualmente esistenti, detti homo sapiens sapiens “moderno”, proprio come avvenne con gli estinti appartenenti alla specie dell’uomo detto di Neanderthal, e con il caso del cosiddetto “uomo di Mouillans” (di 12 mila anni fa), ritrovato sulle coste del Nordafrica, e in parte somigliante alle figure umane presenti nei graffiti delle pietre di Ica.
Si potrebbe dunque immaginare che le incisioni di quelle pietre emerse nel deserto di Ocucaje, fossero un artefatto artistico-religioso, di una specie Homo estinta che diede vita in Sudamerica alla più antica cultura di cui si abbia notizia.
La piccola popolazione degli Uros (di cui gli ultimi individui ancora vivevano sulle isolette del lago Titicaca fino agli anni Cinquanta), conservavano nella loro lingua e nella loro 
mitologia alcune tracce che forse sono collegabili alla storia di una antichissima civiltà autoctona, ed eventualmente di una specie aborigena da tempo estinta. 
Amerigo Vespucci riferisce che nei suoi viaggi incontrò popolazioni di uomini molto alti, e anche questi ci sono ignoti forse perché poco dopo la conquista spagnola si estinsero...
Quindi per quanto riguarda il tentativo di spiegare la presenza di sauri nei disegni sulle pietre di Ica, anziché supporre una compresenza reale (come nel caso del reperto colombiano di Tolima), si può supporre una conoscenza (e uno studio) di scheletri fossili di grandi animali del passato che entrarono poi a far parte della elaborazione di mitologemi in un processo mitopoietico di lunga durata (e d’altronde si pensi a certi antichi miti non solo mediterranei e mesopotamici, o alle leggende del nord-est europeo sui draghi). E forse si può pensare alla sepoltura rituale di sacerdoti o sciamani, o grandi capi, nelle profondità infere accanto a questi potenti esemplari, da cui derivarono leggende su un loro confronto o rapporto reale. Oppure si potrebbe all’estremo supporre –non già la nascita di una specie umana in un’epoca così antecedente (!) – piuttosto all’inverso la sopravvivenza e persistenza in alcuni ecosistemi di nicchia, di alcuni ultimissimi esemplari residui di specie di fatto oramai da lungo tempo estinte nel resto del pianeta…
Resta il fatto che comunque dobbiamo cercare di dare una spiegazione a questo insieme di elementi (anche più complesso e articolato di quanto io abbia qui sintetizzato), e non solo di scartarli o di rifiutarsi di riconoscerne non solo l’importanza, o la validità, ma addirittura l’esistenza… come si è generalmente fatto sin’ora. Anche se ciò dovesse mettere in forse gli schemi consolidati.
Altri elementi in effetti concorrerebbero a far ipotizzare una storia di civiltà antichissime e primordiali in Sudamerica, dalla rete di gallerie e corridoi sotterranei artificiali nella regione andina, alle grandi rocce scolpite di Marcahuasi, della civiltà Wanca, alla origine e al sorgere della civiltà di Tiahuanaco, ai misteri ancora insoluti del primo insediamento di Machu Picchu, alla antica città sacra di Caral (nella valle di Supe 200 km. a nord di Lima, di 5 mila anni fa), ai resti di un grande centro spirituale arcaico a Rosaspata, o ñustispana, presso Vilcabamba (da me e da Beniamino visitato e fotografato nel nostro viaggio il 19 aprile -cfr. diario nel Post del 26 luglio 2011), 

così come ai resti archeologici sottomarini presso la costa pacifica, alle scoperte di Tello, di Ruzo, di Ameghino, alla lingua sacra degli Amawtas, alla comunicazione tramite quipus, alla civiltà degli Wari, o a quella di Piquillakta, o all'origine di Pachacamac, alla città di argilla di Chan-chan, al grande canale e acquedotto di Kumpi Mayu (canale d'acqua in quechua, lungo 5 miglia) con incisioni rupestri, presso Cajamarca, di 3500 anni fa; o allo straordinario e misterioso grande candelabro di Paracas (vedi foto nel mio citato diario), e alle loro tecniche di imbalsamazione, e di tessitura dei loro mantelli, alle antiche conoscenze astronomiche, matematiche, architettoniche e ingenieristiche, o mediche e chirurgiche, eccetera eccetera. Resta un immenso ed entusiasmante lavoro ancora da compiere per archeologi, antropologi e paleoantropologi … nonostante le distruzioni volontarie o di fatto di questi documenti miracolosamente rimasti ancora sino ad oggi.
Altrimenti resteremmo ancora ai tempi bui di quando nel 1583 il concilio di Lima decretò di bruciare sul rogo della Santa Inquisizione tutti i quipùs rinvenibili, e tutti i “libri illustrati” delle culture amerindie… nonché lo sterminio di tutti i sapienti e sacerdoti … ma la mentalità chiusa e ristretta non ha mai aiutato il progredire della cultura, e delle conoscenze, anzi il dogmatismo è sempre andato ad ostacolare il progresso della ricerca scientifica e della creatività in ogni campo dell’umano sapere. Sarebbe un atteggiamento che alla lunga porterebbe a esiti comparabili a quelle grandi catastrofi naturali, come i terremoti, le alluvioni, le siccità e desertificazioni, le epidemie, le ecatombi per fame, eccetera, che tanto spesso nella storia hanno portato alla estinzione non solo di culture e civiltà, e lingue e ricchezze artistiche, ma addirittura fisicamente di intere popolazioni e stirpi che sono definitivamente scomparse dalla faccia della Terra con tutto il bagaglio delle loro acquisizioni.

PS: sulle pietre di Ica si vedano anche le annotazioni nel diario di viaggio in Perù (postato nel luglio 2011), relative alla seconda metà della giornata di domenica 25/04/2004

venerdì 1 giugno 2012

le assurde follie del Papalagi



Ecco come veniva vista da uno sguardo esterno la nostra civiltà abitativa. Si tratta della oramai famosa descrizione che ne fece un grande capo delle isole Samoa (nell'Oceano Pacifico) per raccontare ai suoi isolani ciò che vide durante un suo eccezionale viaggio in Europa nei primi anni del Novecento. 
Il testo venne a conoscenza di Erich Scheurmann, un artista tedesco (che fu amico di Hermann Hesse), il quale quando scoppiò la prima guerra mondiale si rifugiò in Polinesia, e lì ebbe occasione di tradurlo, dandone una versione adattata. La redazione di appunti scritti dei discorsi di Tuiavii infatti era intesa solo come promemoria per rivolgersi agli uditori samoani di allora, che non avevano idea alcuna delle realtà di cui Tuiavii andava riferendo. Di tale evento si parlò tanto che da tutta la Polinesia pervennero delle richieste di poter conoscere le parole originarie di quella relazione.

Der Papalagi. Die Reden des Südseehäuptlings Tuiavii aus Tiavea, dalla edizione tedesca a cura di E.Scheurmann, Horn in Baden, 1920 (rist. 1977), trad.it: Tuiavii di Tiavea, Papalagi, per Stampa Alternativa, collana "millelire", Nuovi Equilibri, Viterbo, giugno 1990, redazione tradotta da Amina Pandolci; riporto le cit. dalla quarta ristampa, del gennaio 1992.
Con il termine "papalagi" (pronunciato con la g dura) si indicava in samoano l'uomo bianco:
Tuiavii

"Il Papalagi vive in un guscio solido come quello di una conchiglia marina. Vive tra le pietre così come la scolopendra fra le fessure della lava. Le pietre sono tutt'intorno a lui, accanto e sopra di lui. La sua capanna dunque assomiglia come ad un cassone di pietra messo in piedi.
Una cassa che ha molti scomparti ed è tutta bucata.
C'è un solo punto da cui si può entrare e uscire da questa cassa di pietra.
(…) Un samoano morirebbe ben presto soffocato in questi cassoni, perché qui non passa mai un soffio d'aria fresca come in una qualsiasi capanna delle Samoa. E anche gli odori della cucina cercano invano una via d'uscita. Spesso però anche l'aria che viene da fuori non è migliore (…).
(…) Fra questi cassoni il Papalagi trascorre dunque la sua vita. Sta ora in questo e ora il quel cassone, secondo l'ora della giornata e il momento. I suoi figli crescono qui, alti sopra il terreno, spesso più alti di una palma adulta, in mezzo alle pietre. (…) 
Questi cassoni di pietra si trovano spesso molto numerosi l'uno accanto all'altro, come uomini spalla a spalla, e in ciascuno vivono tanti individui quanti ce ne sono in un villaggio delle Samoa. A un tiro di pietra, dalla parte opposta, si leva un'altra fila di uguali cassoni, anch'essi spalla a spalla, e anche in questi abitano tante persone. Così fra le due file c'è soltanto una sottile fessura, che il Papalagi chiama strada. Questa fessura spesso è larga quanto un fiume e coperta di dure pietre. Bisogna camminare a lungo per trovare un tratto libero; ma qui sfociano altre fessure frammezzo ad altri cassoni. Anche queste sono lunghe come ampi corsi d'acqua dolce, e le loro fessure laterali sono anch'esse fessure diptera della stessa lunghezza. Così si può camminare per giorni in queste fessure fino a perdersi, prima di arrivare a vedere un bosco, o un pezzo di cielo azzurro. (…)
Tutto ciò non impedisce ai papalagi di correre in queste fessure da mattina a sera. (…) In talune di queste fessure in particolare c'è una confusione e la gente vi scorre dentro come un denso limo. (…)" 
da: pp. 9-13.

Certamente in caso di terremoto o altra calamità naturale le capanne samoane si potevano abbastanza facilmente rimettere in piedi, o ripristinare o ricostruire, mentre i nostri palazzi e condomìni se cadono procurano evidentemente assai più danni a cose e persone. Anche in quei paesi ad es. in cui sono frequenti i tornado e i cicloni, casette sparse di legno, o in materiali prefabbricati e componibili, subiscono danni più facilmente riparabili, rispetto a costruzioni alte in cemento, magari affiancate tra loro.

Ma ovviamente l'interesse maggiore di questo testo è un altro, e cioè rappresenta una occasione per ascoltare una descrizione da parte di un attento osservatore esterno, con un'ottica quasi di tipo etnografico, sulla nostra civiltà. Questo sguardo ci rinvia una immagine che non da per scontato e ovvio alcunché, e che parte da una visione di base, da una mentalità, e una cultura diversa da quella occidentale, dato che fa riferimento ad abitudini, usanze e costumi differenti dai nostri.
Il che è in parte valido anche nel caso opposto. Può darsi che Scheurmann durante la sua permanenza in Polinesia avesse ascoltato qualcuno che riferiva di un viaggio fatto da un isolano e dei suoi racconti, e da lì si fosse ispirato per scrivere questo testo in modo da sottolineare la sua critica alla civiltà occidentale, servendosi dello sguardo esterno (come già si fece in molti altri casi dal settecento in poi).