martedì 30 maggio 2017

alcuni concetti di J. Campbell

Formazione e mitologia in Joseph Campbell (1904 - 1987)

J.Campbell non è ancora abbastanza conosciuto e riconosciuto in Italia, o non almeno quanto meriterebbe. Ho ripreso a leggerlo e ho approfondito lo studio delle sue opere, in particolare mentre preparavo i miei ultimi corsi universitari prima del pensionamento, e stavo scrivendo il mio libro “Le maschere e gli specchi”, sui processi di formazione delle identità (a livello individuale e collettivo), per cui avevo ripreso a riflettere sui miti. E ora in occasione del vicino 30° anniversario della sua morte, che sarà a fine ottobre '17, ho pubblicato un libro su di lui, per l’editore Moretti&Vitali, col titolo “La Forza del Mito - l'eroico viaggio di Joseph Campbell attraverso la mitologia comparata” (vedi Post precedente, qui più sotto).
Carlo Pancera
La forza del mito

Da oggi in disponibile in tutte le librerie!

Collana Il Tridente Saggi
diretta da Carla Stroppa ed Eva Pattis Zoja


Questo volume, il primo nel continente europeo a essere dedicato all’insieme delle opere di J. Campell oltre che alla sua biografia, offre il quadro completo dei suoi studi, dei viaggi e degli incontri e consente un accesso inedito alla sua opera, che ha il Mito e la costruzione di esso al centro di riflessioni che hanno investito narrazioni di tutti i tipi, dai luoghi e le culture più disparate.

pagine : 496
dimensioni : 14,5x21cm 
prezzo : € 32,00
ISBN : 9788871866734

Copyright © 2017 Moretti&Vitali Editori S.r.l., All rights reserved.
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Lo statunitense Joseph Campbell fu uno studioso di mitologie comparate, che analizzò le funzioni dei miti compiendo raffronti non solo tra contesti culturali geograficamente lontani tra loro, ma anche e sopratutto in contesti storici differenti. Uno studioso che andò controcorrente occupandosi più delle similitudini che non delle diversità.
 Il contributo di JC è consistito innanzitutto nel promuovere una acquisizione di consapevolezza delle funzioni svolte appunto dalle narrazioni mitologiche nella strutturazione delle culture, cioè nel processo (se lo riconosciamo) di evoluzione culturale della umanità. In questa luce ho voluto rileggerlo proprio in quanto sono storico della pedagogia, per focalizzare il contributo egli ha dato -e può ancora dare- ad una analisi su quali siano stati i processi formativi ed educativi che si sono avuti nel lungo periodo, e quindi anche per compiere uno  studio storico-comparativo dei vari percorsi formativi che hanno segnato le differenti civiltà. Il suo modo di intendere gli studi comparativi incrociati tra varie culture (cioè i Cross-Cultural Studies) era molto vicino a certe attuali concezioni dell' intercultura.

Campbell già sin dall’inizio delle sue riflessioni e dei suoi studi è andato oltre l’ambito delle  mitologie classiche. Quando si parlava sessanta-settant’anni fa di mitologia, immediatamente si pensava esclusivamente alle mitologie greche e romane. Campbell è andato oltre i classici e anche oltre l’ambito delle leggende medievali, di storie sacre e profane, cui dedicò i suoi studi per il dottorato a Parigi e a Monaco. Ha prestato attenzione in primis alla struttura e ai contenuti dei miti dei popoli originari nordamericani, operando un confronto incrociato. E poi occupandosi a fondo delle antiche civiltà dell’India in qualità di curatore delle opere incompiute di H.Zimmer. 

Ha messo in evidenza la perennità di numerose narrazioni mitiche ed ha evidenziato certi motivi ricorrenti che sono tradizionalmente passati attraverso cerimonie, canti, e poesie. Ma in seguito, dopo questa indagine storico antropologica, ha sùbito sottolineato come non si tratti solamente di studiare i miti come prodotti culturali del passato, bensì come in effetti continui ad esserci la presenza vitale di miti anche nelle  culture dell’Età Moderna, fino alla nascita della forma del romanzo e al suo formidabile sviluppo. E ha allargato i suoi studi anche individuando i miti di questa nostra epoca contemporanea, nella quale la produzione e la proposizione di miti è ben presente e diffusa non solo tramite i media di comunicazione audio-visuali (basti pensare alla importanza della funzione formativa di narrazioni diffuse tramite il teatro, l’opera lirica, le canzoni, e poi radio-cinema-televisione, e le immagini pubblicitarie).

Dunque si assiste ad un continuum nell’elaborare incessantemente nuove narrazioni di stampo mitologico o leggendario, con nuovi (o riciclati) personaggi di racconti popolari o per es. in  opere letterarie come erano -nella sua gioventù- quelle di J.Joyce, Th.Mann, H.Hesse, eccetera, e infine nell’ambito dell’industria cinematografica. In certi casi alcuni miti sono ancora presenti (come p.es. il mito di Ercole, di Ulisse, di Prometeo, o  il ciclo di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, o il mito del Cid, o le agiografie dei santi, ecc.). Ma quel che è più interessante è che la produzione e proposizione di modelli di riferimento emblematici continua ancora in questi  stessi nostri ultimissimi anni, in questa fase di travolgente sviluppo tecnologico e informatico, a cui abbiamo accesso tramite la grande diffusione dei personal computers, e di internet. L’atto creativo mitopietico dunque per Campbell è inarrestabile, proprio in quanto è connaturato ai processi cognitivi dell’essere umano (e dunque continuerà attraversando i cambiamenti sociali).

Campbell fu uomo dagli interessi e conoscenze vastissime, ed anche perciò è impossibile qui riferire in breve i contenuti delle sue opere (più di una trentina di volumi). Qui accennerò solo ad uno degli argomenti problematici e complessi di cui si è occupato.

 Dopo la pubblicazione del suo primo libro sul tema mitologico dell’Eroe, intitolato “L’eroe dai mille volti” (ultimato nell'autunno del 1944 ma uscito nel 1949), in cui indicava i parallelismi e le similitudini tra i filoni narrativi di certi miti che trattano quel tema, nel corso dei tempi e anche in contesti culturali (apparentemente) senza contatti e scambi tra loro. Come disse Stanislav Grof: Campbell si chiese che cosa ha reso certi paradigmi universali? E in particolare perché per es. il tema del viaggio eroico attrae le più differenti culture?
La proiezione di sè stessi in un protagonista emblematico con cui ci identifichiamo, e che trovandosi in difficoltà affronta delle avventure, trova soluzione per un problema nuovo, e  conquista dei risultati, è una trama costantemente presente. Queste fantasticherie vengono socializzate con narrazioni che han sempre costituito il tramite per comunicare, per mezzo di simboli, alcuni valori di riferimento collettivi, e proporre insegnamenti e filosofie pratiche di vita.


Campbell ha ribadito che i racconti mitici, come anche le storie sacre e profane, non descrivono poeticamente solo persone ed eventi ispirati a quelli reali, ma sono sopratutto narrazioni di tipo metaforico che comunicano attraverso la loro ricchezza simbolica. Sono dunque sì intriganti racconti di cui si interesserà lo studioso di letteratura, ma Campbell ha saputo cogliere che non sono solo storie inventate, immaginarie, e dotate di grande fascino e attrattiva, né vanno letti come fossero reportages storici, ma ha precisato che la lettura che ne compie la psicologia risulta una interpretazione particolarmente rivelativa di significati e messaggi sotto traccia. In particolare lo è l'esegesi del mito in chiave psicoanalitica, anche perché secondo lui i contenuti dei miti sono comparabili ai contenuti delle grandi -e a volte forse folli- visioni. Come potevano essere quelle di Ezechiele, di Giobbe, di Daniele, o di Zarathustra, o in età moderna quelle di William Blake, di Füssli o di John Milton (ma ai nostri tempi si pensi ad es. a quelle di personaggi da Lejzer Zamenhof a Gurdjeff e alla Blavatsky; si pensi alle visioni de "il Profeta" di Kahlil Gibran; e inoltre alle grandiose visioni di Gandhi, oppure di Chaplin nel discorso alla fine del film "Il grande dittatore"; o anche si pensi a scrittori -oltre a quelli già citati- come Tolkien o Philip Dick; o ai grandi artisti in pittura, si pensi a Bosch o Brueghel o Dalì o Escher, ma anche scultori, musicisti, coreografi eccetera, e a certi famosi cineasti; o alle visioni di grandi inventori, da Edison a Lumière, da Turing a Steve Jobs ). E anche i grandi miti sono a suo parare comparabili alle sequenze oniriche, in particolare ai sogni più significativi che coivolgono intere comunità sopratutto in periodi di forti mutamenti sociali (si pensi al grande sogno del re Nabucodonosor, o a quello del dio hindu Vishnu, o ai vividi grandi sogni di Alce Nero, o di Martin Luther King con il suo "I have a dream!", ...). Infine consideriamo oggi i personaggi eroi del cinema come l'agente 007 o Bowman, Luke Skywalker, o Indiana Jones, Fitzcarraldo, o Ethan o Doc o Neo... che hanno impressionato, affascinato e fatto sognare il pubblico del mondo intero.

L'àmbito dei sogni e delle grandi visioni, presenta immagini che sgorgano dal nostro mondo interiore, e Campbell è un assertore della unità psichica del genere umano. Ma se pensiamo alla cronaca quotidiana ci chiediamo come si possa parlare anche solo -ad es.- di una unitaria civiltà del Mediterraneo? (come fece Braudel). E’ invece plausibile in quanto –oltre alle antiche radici (Ulisse, gli eroi greci, Enea, o l'arabo Sinbad il marinaio, o le leggende sul Cid)– se solo consideriamo il fatto che lungo le sue coste, sia gli ortodossi che i cattolici e i protestanti, e anche i musulmani, hanno per sacro un medesimo testo con dunque i medesimi racconti mitici, che sono i libri dell’antico testamento ebraico. Per es. da quella unica matrice, o fonte, sono scaturite leggende e storie “sacre”, e narrazioni, che hanno molti parallelismi tra loro (penso agli innumerevoli spunti presi dalle storie di Noé, Giacobbe, Giuseppe, Davide, Giona, Mosé,…). E allargando poi la visuale ai cinque continenti, Campbell ha sostenuto la tesi della fondamentale unità del genere umano –che sta a monte delle distinzioni tra popoli bianchi, neri, gialli, rossi o marroni o mulatti– non solo sotto il profilo biologico, che ora è studiato per es. dai ricercatori nel campo delle neuroscienze, ma concependo una unità umana anche per quanto riguarda la componente psichica (cfr. la sua opera Le Maschere di Dio in 4 vols, e Mythogenesis).



 Considerando che non solo il DNA mitocondriale, o le funzioni cerebrali, o l’apparato fonatorio, ecc. sono gli stessi a tutte le latitudini e in tutte le epoche, ma anche che i meccanismi psichici sono i medesimi in tutti gli esemplari della nostra specie Homo Sapiens-sapiens. Inoltre anche moltissime idee, pensieri, capacità, ecc., erano similari già in epoche arcaiche nei prodotti delle facoltà immaginative, se solo si pensa che p.es. certi disegni complessi incisi nelle rocce, e che risalgono a 32 mila anni av.C., e le sculture delle cosiddette “Veneri preistoriche” che risalgono a circa 24 millenni av.C.  mostrano di attingere ad un "deposito" di figurazioni e di simboli molto simili tra loro. Perciò Campbell ha studiato quelle narrazioni risalenti alla "notte dei tempi", che si tramandavano da innumerevoli generazioni in popolazioni che ancora a fine Ottocento e all’inizio del Novecento vivevano secondo la cultura materiale e le modalità sociali del Neolitico, ad es. in territori artici o nelle fitte foreste pluviali equatoriali, o in pianori aperti, o a grandi altitudini montane, e che solo da pochissimo avevano avuto i primi sporadici contatti con individui giunti dall’ esterno. (cfr. tra gli altri i rapporti di Frazer, Rasmussen, Bastian, Frobenius, e Malinowski, Kroeber, Ròheim, Devereaux …eccetera, e si pensi ai primi studi etnografici su popoli aborigeni allora poco noti dei cinque continenti ... di solo un secolo fa...).

E questo suo riconoscere motivi ricorrenti di lunghissima durata, è dovuto al fatto che i temi e le problematiche delle narrazioni mitologiche scaturiscono appunto dagli strati più profondi della psiche umana, dove sono depositate una miriade di immagini e di rappresentazioni. Esse ci parlano dunque di noi stessi, ovvero sono in effetti narrazioni che emergono dall’interiorità più profonda e in ombra e che si affacciano alla nostra mente affiorando fino al livello della nostra coscienza, ed in cui poi noi stessi ci rispecchiamo.
I temi e le problematiche che intessono queste grandi narrazioni ci parlano spesso con una grammatica particolare ed una loro proto-logica di tipo non-consequenziale ma che procede per associazioni, esprimendosi spesso in modo enigmatico sotto forma di simboli e di metafore. E non sono tematiche che riguardino solo dilemmi contingenti o individuali, ma …. sono generati da emozioni di base e sono perenni nella successione delle generazioni, anche se vengono comunicate sotto forme variate con diverse espressioni e personaggi. Certamente i primi appartenenti al genere Homo erectus, e anche i predecessori ominidi, sognavano durante il sonno ed elaboravano un loro immaginario che ne avrebbe influenzato i pensieri e i comportamenti (ma p.es. pensiamo anche al concetto della cosiddetta vicarianza di Berthoz).

Dunque perché i miti primordiali sarebbero così importanti? e come incidono certi simboli sul subconscio e l’inconscio di un neonato e poi di un bambino ? (per non dire degli adulti).
  Campbell già in un saggio del 1951 (Bios e Mythos) conferisce enorme importanza al fatto che nel genere umano, a differenza da altri mammiferi, si partorisca in una fase in cui il feto non è ancora del tutto completato sul piano fisico-organico, per cui poi anche lo sviluppo sul piano psichico comincia già quando ancora lo sviluppo neonatale non è maturo (si tratta della neotenìa studiata dall’olandese L.Bolk nel ’26, e poi da N.Tinbergen, e dallo svizzero A.Portmann negli anni ’40). Almeno rispetto ai cuccioli di altre specie di mammiferi, in cui la primissima condizione alla nascita, si completa nell’arco di poche settimane o di qualche mese producendo rapidi cambiamenti. Questa cosiddetta nostra venuta al mondo “troppo” immatura, in cui si perfeziona e completa la fisionomia del feto al di fuori del ventre materno (il che determina poi una condizione infantile prolungata, e questo è il significato del termine neotenìa), fa sì che nella nostra specie sia molto forte il fenomeno di un imprinting socio-culturale estremamente precoce, e perciò profondo.
Pertanto si può dire da un lato che questo presenta lo svantaggio di non essere noi umani  sufficientemente dotati di meccanismi stimolo/risposta innati o “chiusi” (=gli “istinti”, o meccanismi attivatori ereditari) per cui il nostro nuovo nato è assolutamente inabile per tutto il primo anno di vita, e non è in grado per nulla di provvedere a sè stesso per almeno due anni e mezzo / tre (la sua stessa alimentazione, la sua autonomia nel riconoscere pericoli, ecc); ma d’altro lato è un vantaggio il fatto che la “natura” umana sia perciò in gran parte anche di tipo culturale, cioè composta -oltre che di istinti e impulsi- anche di impressioni apprese, utili per la sopravvivenza e per l’integrazione nella rete sociale di riferimento, cioè gli imputs ambientali e sociali (su questo v. anche L.L.Cavalli-Sforza) e le emozioni che li accompagnano, sono determinanti nel stabilire connessioni neuronali, e nell’ imprimere un segno, una traccia, indelebile nella psiche neonatale dell’individuo in formazione.
La struttura di ogni individuo umano dunque rappresenta un amalgama indissolubile di fattori biologici ereditari e di fattori culturali tradizionali dovuti ad imprinting, ed essi sono inconcepibili gli uni senza gli altri.
Ricapitolando, nel genere dei primati ominidi e poi nella specie umana, si è sviluppata in modo “abnorme” la dimensione del cranio, rendendo molto difficoltoso e rischioso, o impossibile il parto nei tempi necessari per la maturazione del feto, che ha quindi portato ad una soluzione precoce della gestazione. Da qui l’entità dell’influenza socioculturale, il che può dar luogo a maggiori imprinting  più profondi che non in altre specie. Quindi non abbiamo così tante reazioni stereotipate a chiave/serratura, il che rende più aperta la struttura stimolo/risposta, e rende i meccanismi meno rigidamente strutturati. Per cui si può dire che la “natura” psico-somatica dell’essere umano sia appunto anche di origine socio-culturale, oltre che organica. Di conseguenza le prime “impressioni” e i primi apprendimenti si “fissano” nella mente e a livello emotivo, con maggior forza. Ma nel contempo siamo meno rigidamente "predeterminati" e “conservatori” degli altri animali. La maturazione all’ esterno del grembo materno, rendendo possibile e stimolando, l’evoluzione del cervello, è forse ciò che ha portato allo sviluppo dei lobi frontali e della neo-corteccia, che ci consente di cercare di tenere maggiormente sotto controllo i nostri impulsi o almeno di procrastinare la soddisfazione dei nostri obiettivi. Perciò queste problematiche sono state studiate con attenzione anche dagli psicologi dell’età evolutiva e dagli studiosi di scienze della formazione. Ora sappiamo che molti cuccioli di mammiferi superano in qualità di sviluppo e di capacità di apprendimento qualsiasi infante umano, perlomeno fino a che il nostro sviluppo mentale non risulta completato; mentre poi a partire dai due anni e mezzo / tre il nostro cucciolo inizia a distanziarli tutti, nettamente, anche i primati superiori a noi più simili, e diviene presto per loro irraggiungibile. E ciò anche perché, come si dice, l'Uomo è incompiuto, e si forma e modella e perfeziona, in parte, "da sè medesimo", secondo moduli di auto-organizzazione.
E' notevole che Campbell abbia còlto l'importanza degli studi di Bolk, poiché a suo tempo l'anatomista olandese (morto nel 1930) era rimasto poco notato non solo negli ambienti umanistici (interessati ai risvolti implicati dalla sua concezione), ma anche negli stessi ambienti scientifici, e tardò molto la sua rivalutazione. Per cui l'attenzione data da Campbell risultava, per il 1944/49 (quando ne scrisse nel Prologo all'Eroe dai mille volti, pp. 13-14), e poi in questo saggio del 1951, molto avanzata, ed è stata dovuta alla conoscenza dell'etnologo e psicoanalista Géza Ròheim (Origin and Function of Culture, 1943/45) e poi del biologo Portmann (avendo letto un suo intervento al convegno Eranos del 1947, Das Ursprungsproblem), il quale pure tardò a ricevere il dovuto riconoscimento.


In particolare dunque, ciò che qui ora più ci interessa è che i sistemi mito-rito, sistemi ricorsivi, cioè costituiti da impulsi ricorrenti standardizzati, stimolano una reazione da parte del sistema nervoso, che sollecita un processo formativo più aperto e complesso rispetto ai meccanismi reattivi predisposti. Quindi la interazione precoce con i segnali provenienti dall’ambiente (naturale e sociale), si rivela fondamentale. Il ritrovarsi immersi in una foresta di simboli (espressione di V.Turner), esercita le capacità di decodificazione, e stimola retroazioni (ovvero i feedbacks) che disegnano sempre più complesse mappe cognitive.
Per cui da un lato il fenomeno della maturazione rallentata come caratteristica specifica umana, promuove l’evoluzione culturale (come anche l’evoluzione dei vari tipi di intelligenza prettamente umani). D’altro lato in questo quadro si rendono di importanza capitale le comunicazioni di tipo metaforico e simbolico caratteristiche dei riti e dei miti, che forniscono modelli di riferimento, e rendono capaci di saper affrontare problematiche, proponendo modelli attraverso le narrazioni di percorsi e processi standardizzati e convalidati dall’esperienza. A questo propositosi veda p. es. appunto la simbolica del Grande VIaggio dell’Eroe con i suoi stadi e il suo attraversamento di continue messe alla prova, quindi la narrazione del mito come tentativo di "spiegare" il mondo. Ma oltre a questo aspetto "adattativo" e "conformistico" del processo di integrazione sociale (come già aveva intuito Durkheim), per Campbell c'è anche lo sviluppo della capacità di ricombinare le tessere o “mattoni” costituenti i vari mosaici figurativi, per saper poi affrontare anche problematiche nuove e inattese. Campbell ritiene importante la distinzione tra immagini che agiscono sulle strutture del sistema nervoso come attivatori di energie, e quelle che servono invece a trasmettere idee e pensieri. “La poesia –scriveva il filologo A.E. Housman– non sta in ciò che si dice, ma nel modo in cui lo si dice”, e più oltre: “l’intelletto non è la fonte della poesia, anzi esso può in realtà ostacolarne la produzione”. «Con ciò –scrive Campbell– [Housman] non fa che riaffermare e formulare con lucidità il primo assioma delle arti creative (si tratti di poesia, musica, danza, architettura, pittura, scultura, canto, o teatro) secondo cui l’arte non è un sistema logico di riferimenti, ma una liberazione da essi e una espressione di esperienze immediate, ovvero la presentazione di forme, immagini, e ideazioni in modo che esse comunichino in primo luogo non un pensiero ma un’impressione». ( ... )

Per questo Campbell rende omaggio agli antichi poeti, ai cantori, ai veggenti, ai vati, ai profeti, ai contastorie, e a tutti coloro -uomini e donne- che tramandarono nel tempo il sapere, la competenza nel fare, e la saggezza dei padri e degli antenati, cercando di formare nuovi eroi preparati a nuove sfide inedite del destino.
Quali sono gli elementi-base che ci hanno forgiato nel lento e faticoso procedere della evoluzione umana? Quali gli imprinting e quali le nostre potenzialità di sviluppo? Quali dunque le prime e indelebili impressioni? Chi, che cosa, ci ha formato tutti noi esseri umani nelle nostre esperienze, e educato a servirci degli stumenti di cui disponiamo?
A.Portmann in un suo intervento ad un convegno Eranos del 1953, su “La Terra in quanto dimora della vita”, ha sottolineato quel che Campbell definisce una osservazione semplice quanto importante: che una forza, una energia, che non è mai assente dall’esperienza umana, è la forza di gravità. E' questa una delle grandi potenze incontrastabili della Natura del nostro mondo. («La quale non solo agisce continuamente su ogni aspetto delle attività umane, ma che ha determinato fondamentalmente la stessa forma del corpo, e di tutti i suoi organi». Portmann, Die Tiergestalt, La forma degli animali, del 1948)
Campbell scrive che una seconda potente forza ordinatrice, è «l’avvicendarsi quotidiano di luce e di oscurità, [che] costituisce un fattore ineluttabile di esperienza, al quale aggiunge certo un considerevole valore drammatico il fatto che di notte il mondo dorme, è in agguato il pericolo, e la mente si immerge nel regno dei sogni, la cui logica differisce da quella del mondo della luce. (…) Senza dubbi il sogno ha impregnato di sè il mondo del mito (…)».
E prosegue dicendo che «l’alba e il risveglio da questo mondo di sogni, devono essere sempre stati collegati al Sole e al suo sorgere. Le paure e gli incantesimi sono scacciati dalla luce, che l’uomo ha sempre visto provenire dall’alto, e offrire guida e orientamento.
Quindi l’oscurità, e il peso, l’attrazione della gravità, e il buio all’interno della terra, della giungla, o del mare profondo, e con essi certe paure –e piaceri– intensissimi, [scriveva Campbell] devono aver costituito per millenni una sindrome stabile dell’esperienza umana (…) Di qui nasce una polarità, di luce e ombra, alto e basso, direzione e perdita d’orientamento, fiducia e paura, (…). Anche la Luna e lo spettacolo del cielo notturno, le stelle, e la Via Lattea, debbono certo esser stati fin dagli inizi una fonte di meraviglia e di impressioni profonde. Ed inoltre esiste una influenza fisica effettiva della Luna sulla Terra e sulle sue creature, sulle maree e sulle nostre “maree” interiori, che da tempo è riconosciuta sul piano cosciente, e sperimentata a livello inconscio. La coincidenza del ciclo mestruale con quello lunare è una realtà fisica che influenza la struttura della vita umana (…). Il mistero della morte e resurrezione, anche della luna, e la sua influenza su cani, lupi, volpi, sciacalli, e coyotes, che la salutano con il loro canto notturno: questo disco d’argento immortale e meraviglioso, che passa tra le stelle e attraversa le nubi più alte, trasformando così la vita reale in una sorta di sogno, è stato nella formazione della mitologia una forza e una presenza (…).  Il contrasto di forma fisica e di sfere di competenza tra maschio e femmina è certamente un altro universale, e non solo dell’esperienza umana (…). Quanta parte di quello che tutti conoscono a questo proposito, è frutto di imprinting, e quanta parte è dovuta ad immagini ereditarie ?»
Un altro insieme di esperienze formative fondamentali che incide con suoi imprintings sul nostro atteggiamento verso la vita è dato per Campbell dalle fasi del ciclo di vita.
Gli stadi di crescita e di progressione dei periodi biologici segnano in profondità la nostra psicologia. Il tempo di vita è scandito in almeno tre periodi: «il primo dal fascino ingenuo, il secondo con la sua maturità e competenza, e il terzo con la sua debolezza fisica ma anche con la sua saggezza». Vi sono delle esigenze inevitabili e quindi universali che troviamo segnalate dai riti di passaggio da una fase all’altra, con i loro miti, presenti in ogni luogo, popolo e cultura (cfr. van Gennep, Eisenstadt, Erikson, ...).
A questi elementi potremmo aggiungere le osservazioni che ogni essere umano ha compiuto a riguardo dei vari tipi psicologici con cui si è confrontato (che sono state variamente indicate da sempre, ma per le quali Campbell trova che le migliori caratterizzazioni siano quelle indicate in epoca antica dalle interpretazioni indiane dello Yoga classico, e in età moderna da Jung). Campbell inoltre sviluppa una sintesi storica delle varie epoche preistoriche e protostoriche che caratterizzano le prime culture umane: raccogliotori, cacciatori e pescatori, orticoltori, allevatori, e coltivatori, nelle diverse aree naturali e climatiche. Questi contesti ambientali (naturali e social) contribuiscono a determinare imprintings locali molto forti incidendo sulla contestualizzazione della simbolica presente nei miti.
Inoltre pensiamo a quanti miti, leggende, storie, in ogni epoca e latitudine sono state raccontate partendo da queste fondamentali impronte delle esperienze formative? non è possibile contarle, tanto più se volessimo mettere in conto anche quelle che si sono perdute, svanite nel tempo.......... : sono incommensurabili.
Questi elementi portano alla conclusione che il neonato d’uomo sin dalla sua nascita precoce è “esposto” al mondo, e, nello specifico che qui interessa, alle influenze e impressioni esercitate dai suoni, dalla voce, dai ritmi, dalla musica, dalla danza, dai canti, dai segnali del linguaggio corporeo e espressivo, e anche dai racconti dei miti e delle fiabe. Di cui coglie il pathos. Poi, cresciuto fisicamente abbastanza da potersi comportare come un cucciolo della nostra specie, questi elementi divengono presto parte costitutiva del suo sentimento di identità personale (inizialmente tramite la sua identificazione col nome che gli viene attribuito) e di gruppo (con l' identificazione delle singole figure di riferimento), e le impronte che essi lasciano sono praticamente indelebili.
Inevitabilmente attraverso la rappresentazione che tali elementi forniscono del mondo, viene reso possibile al singolo individuo (e al singolo gruppo o comunità) interpretare il mondo. Non appena il piccolo è in grado di decodificare messaggi verbali complessi come quelli del nucleo semplice di una fiaba o di un mito, essi servono anche per affrontare gli eventi, e i nuovi problemi che si presentano, per i quali essi indicano alcune modalità per superarli. A volte essi portano più tardi anche alla ricerca di formule espressive nuove in cui incanalare la creatività e la immaginazione di segni e di simboli inediti o che dotano di nuovi significati, e di nuove narrazioni. Così la mitologia si rinnova. Comunque alla base ci sono quegli imprintings sopracitati, impressi nella psiche e nella mente dalle esperienze compiute più significative.
(su questi temi si veda l’intervento di Campbell ad un colloquio Eranos del 1959 ad Ascona sul lago Maggiore, sui miti dei popoli cacciatori e dei primi orticoltori e coltivatori; e  "La Mitologia primitiva", primo volume de “Le Maschere di Dio”, anch’esso dello stesso anno 1959, in particolare nei primi due capitoli della Parte Prima).

Perciò si può ben capire come mai Campbell amasse sovente citare quel brano di Schopenhauer in cui nel 1851 scriveva che: «(...) le esperienze e le folgorazioni della infanzia e della prima gioventù divengono nel proseguire della vita, una sorta di standards e di modelli per tutta la successiva conoscenza ed esperienza, e pertanto delle categorie in base alle quali le cose vengono classificate. Non sempre coscientemente, tuttavia. Ed è così che negli anni della nostra infanzia vengono posate le fondamenta della nostra susseguente visione del mondo, e anche della sua superficialità o profondità: il che più tardi negli anni verrà svolto, e sviluppato, ma non cambiato nella sua essenza.» (in Parerga und Paralipomena, kleine philosophische schriften)

In definitiva Campbell con tutto ciò che riassumevo più sopra, riafferma il concetto della unità della nostra specie, che viene confermata non solo dalla storia biologica ma anche da quella delle concezioni spirituali. Tematiche come il furto del fuoco, il grande diluvio, l’immaginario su un mondo dei morti, la protezione da parte di spiriti potenti, il ricordo di un eroe salvatore, si ritrovano nei miti di ogni tempo e di tutto il mondo, anche alla luce delle scoperte più recenti.
Aggiungerei che più in generale, nei contesti tradizionali, specialmente dove vige la predominanza di una cultura di tipo orale, vi sono elementi culturali di base di forte impatto formativo, quali l’intreccio tra gestualità e linguaggio nella comunicazione, l’uso costante del linguaggio corporale e mimetico, le tonalità della voce, l’imitazione dei richiami animali, le veglie serali con le loro narrazioni, l’immaginario collettivo, il folklore (cerimonie, rituali, usi e costumi, …), le consuetudini di apprendistato del saper vivere, del saper fare e delle tecniche dei mestieri, la stagionalità, la conoscenza del contesto ecologico (materiali, legni, pietre, terre, acque, frutti, fiori ed erbario, sapienza culinaria, pratiche di cura, ecc…) ed etologico (conoscenza dei comportamenti delle varie altre specie con cui gli esseri umani condividono i territori), eccetera...

Come sappiamo, già per Vygotskij è basilare per il processo formativo il contesto culturale, che fornisce gli strumenti linguistici, e le fondamenta per lo sviluppo della logica, concezioni che poi Jerome Bruner riprese a ampliò riconnettendole alla concezione di Piaget sulla base biologico-naturale. E per Bruner gli strumenti primari per accedere ad una cultura sono appunto le narrazioni.

Tra il 1972 e il '73 Campbell tiene delle conferenze in cui nuovamente sottolinea che una delle funzioni fondamentali della mitologia è quella «pedagogica, che dà all’individuo un modo per connettere il mondo interno psicologico, al mondo esterno fenomenico. Come ho tentato [altre volte] di suggerire, la pedagogia delle tradizioni da noi ereditate, oggi però non funziona più per tutti; pertanto, dobbiamo elaborare la nostra specifica pedagogia » [parallelamente a una nostra nuova mitologia] (Campbell in Percorsi di felicità, p.121).

Per terminare questo mio intervento su intercultura e educazione,  si consideri che Campbell oltre che ricercatore fu anche un importante e attivissimo promotore di una educazione aperta e sperimentale basata sul dialogo, nei quasi 4 decenni in cui fu insegnante al “Sarah Lawrence College” femminile (dove aveva studentesse protestanti, cattoliche, ebree, e anche alcune di altre provenienze religiose, nonché non poche studentesse recentemente immigrate da vari paesi), e tenne corsi per adulti al Forum di cultura popolare “Cooper” a New York, e all’Istituto di formazione permanente “Esalen” in California, entrambi frequentati da persone di ogni origine e livello socio-culturale.
Campbell inoltre fu anche un attivo assertore della importanza capitale di una impostazione educativa multidisciplinare e di metodologie di tipo interdisciplinare, che praticò con entusiasmo incessante per tutta la durata della sua vita.
Uno dei suoi messaggi principali dunque è quello di diffondere attraverso l’insegnamento e attraverso varie attività di comunicazione rivolte agli adulti, più la conoscenza delle similitudini o dei parallelismi tra culture diverse, che non quella delle loro divergenze. E di quanto possa essere fruttuosa e stimolante in generale una operazione di comparazione incrociata tra motivi culturali diversificati nelle loro trame e forme (e da lì cercare di prendere coscienza anche dei simboli e delle metafore della umanità contemporanea). Perciò utilizza i racconti mitici e leggendari (e le fiabe del folklore) come testi narrativi di base da cui prendere le mosse.
Le poche sue opere che ho più sopra menzionato, sono tutti testi avvincenti e anche piacevoli da leggere, e intendo questa mia presentazione anche come invito per chi non li conoscesse a dare loro uno sguardo, anche perché sono ricche di illustrazioni che le corredano come parte integrante ed essenziale dei testi scritti, il che era inusuale per l’epoca in cui i volumi erano usciti (in particolare "Le figure del mito", e i 5 tomi dell' "Atlante storico della mitologia mondiale, l'ultima sua opera rimasta incompiuta, e mai tradotta ).

Quindi per Joseph Campbell sopratutto è importante fornire una -anche sommaria- ricognizione delle varie spiritualità delle religioni del mondo, delle filosofie, delle letterature, che va il più possibile sviluppata nelle scuole, nelle università, e nei media di comunicazione di massa, abituando il pubblico e le nuove generazioni a scorgere ciò che ci unisce o che ci fa sentire simili, e a imparare a compiere comparazioni su una base imparziale, e a lasciarsi stimolare dalla bellezza che è insita nella ricchezza delle varie espressioni dell’animo umano. Quindi accennare alle varie culture, spiritualità, e vicende storiche, alle diverse forme artistiche, e sopratutto raccontare le storie, leggende, e miti, di altre civiltà, magari quelle per noi più accessibili e facilmente comprensibili, facendo notare simboli e metafore e sottolineando gli elementi di similitudine e parallelismo pur senza tralasciare di far notare come messaggi di fondo comparabili possano venir espressi sotto forme e con modalità per noi inedite e inusuali, dotate tuttavia di una loro bellezza e fascino nella loro originalità.
Il suo messaggio di fondo pertanto, per quanto riguarda l’interrelazione tra intercultura ed educazione, insiste su come sia della massima importanza comunicare e trasmettere attraverso l’educazione (sia primaria che ricorrente), una visione di ciò che è comune ad es. nella struttura delle narrazioni delle varie culture, piuttosto che focalizzare (come accade troppo spesso e troppo superficialmente) sull’analisi delle grandi differenze e delle specificità che distinguono -e possono contrapporre- ciascuna tradizione rispetto alle altre. Messaggio questo di grandissima attualità in questi nostri anni di globalizzazione e di processi di mondializzazione in atto, che portano facilmente con sè addirittura anche esiti di contrasti e di scontri e conflitti tra civiltà, spesso in gran parte fondati sulla non-conoscenza e quindi non-comprensione reciproca.
Bisognerebbe dunque riprendere a parlare dell’unità del genere umano che sta alla base della nostra primaria identità  (cfr. E.Morin, L'umanità dell'Umanità, del 2001), e più che parlare di nazionalità, parlare di culture e di civiltà, quindi sopratutto di discipline scientifiche e umanistiche e spirituali, parlare dell'umanità . A questo proposito penso che forse sarebbe oramai tempo che, dopo la Società delle Nazioni e poi l'Organizzazione delle Nazioni Unite, costituite da rappresentanti politici dei vari governi, si creasse (magari come sviluppo della Unesco) un organismo multietnico e interreligioso per l'incontro dei popoli e delle civiltà di tutta la Terra nel dialogo interculturale reciproco.
Sarebbe importante, e anche bello, mostrare che le migliaia di storie che sono sbocciate e che fioriscono tutt’ora, come la grande abbondanza di simboli nelle culture umane,  possono esser viste in parallelo con la meravigliosa ed esuberante ricchezza di forme che si ha in ambito biologico, e che dunque le molteplici varietà vanno preservate come patrimonio naturale e patrimonio culturale, materiale e immateriale, di questa nostra madre Terra, patrimonio del quale non si può fare assolutamente a meno.
…………………………………
P.S. annnotazione aggiunta:
Nei miei più che quarant’anni di insegnamento universitario, avendo operato in una facoltà di lettere e filosofia, mi sono potuto rendere conto di quanto i giovani di oggi in generale non siano minimamente al corrente della storia e della cultura degli altri popoli e paesi (e della geografia), per non parlare appunto delle letterature o delle filosofie persino di culture europee a noi vicine (come la filosofia e la spiritualità ebraica, o la spiritualità delle chiese ortodosse dell'Est, o di quelle protestanti del Nord, filosofie e letteratura russa, eccetera, oppure, per spingerci più lontano, delle filosofie e spiritualità e letterature arabe, o indiane o della Cina o del Giappone, o della cultura autoctona andina o delle culture africane, …). Comunque nella stragrande maggioranza delle università italiane questi campi non sono neppure presenti con un insegnamento di livello introduttivo e generale. Il che sembra quasi inconcepibile in un contesto di integrazione continentale europea, e di mondializzazione, qual'è quello attualmente in corso.

ABSTRACT 
This paper is a survey of some ideas by Joseph Campbell, and his works about comparative mythology. Advocating for the concept of the unity of humankind not only on a biological basis, but also as it concerns our psyche. It mantains that mythical stories and folk fairy-tales could help to see similarities and parallelisms and can bring people to a better knowledge of different expressions of human culture.

Sommario

Vengono accennate alcune idee di J.Campbell tratte da sue opere di mitologia comparata. Egli era un sostenitore del concetto di unità del genere umano, non solo sul piano biologico, ma anche su quello psichico. Inoltre accolse la teoria della neotenia umana per cui i primi imprintigs culturali sul neonato e sull’infante, lasciano una traccia indelebile. JC sostiene che le narrazioni dei miti, come le fiabe del folklore, possono aiutarci a vedere le similarietà e i parallelismi tra diverse culture, in vista di una maggiore comprensione reciproca, e ci permettono di conoscere meglio le varie espressioni dell’ «umano», della cultura umana di base. Il raccontare miti di varia provenienza e epoca, può essere utile nello sviluppare un intervento educativo interculturale, che ci aiuti a formare una mente il più possibile aperta e duttile.

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