giovedì 5 ottobre 2017

Viaggio in Etiopia - 22 (ultimo giorno a Addis Abeba)

lunedì 4 settembre, Addis Abeba 2

Non andiamo, come avevamo pensato, a fare una escursione di 100 km (sola andata) fino a Debre Lebanos. Decidiamo di restare a Addis per non stancarci troppo dato che stanotte avremo il volo di ritorno in Italia. 
Andiamo in un Mall, cioè un centro commerciale, Messay ce ne indica uno modesto e a buon prezzo, dove prendiamo dei regalini.
Finalmente compriamo delle bustine del buon thé di Addis.

La città è attraversata dalla Bole Road, o Africa Road, che ora prende vari nomi nei vari suoi segmenti (per es. il nostro pezzo lo hanno denominato Namibia Rd. ma tutti lo chiamano sempre Bole Road).

Alcuni cenni storici
Il regno degli Etiopi (cioè in greco "di color bronzo") era conosciuto sin dall'antichità e ancora alla metà dell'Ottocento era considerato come un paese indipendente. Per es. in un atlante fiorentino del 1845 (rist. 1851), troviamo che i tipici abitanti dell'Abissinia (Habesh) e circondario, sono catalogati tra gli appartenenti alla razza bianca in virtù del riconoscimento del loro grado di civiltà, per cui nonostante l'apparenza gli Amhara e i Tigrini non vengono registrati né sotto la razza nera, nè sotto quella bruna, e gli abitanti del regno di Gondar e di quello Scioano, sono definiti "transizioni fra il Bianco e l'Etiope"...



Quel che generalmente si fa notare è il fatto che l'Etiopia sia stata l'unico Stato storico del continente ad avere evitato la spartizione tra i paesi colonialisti alla fine dell'Ottocento (avendo essa sconfitto l'esercito italiano a Adua nel 1896) noto come "l'arrembaggio", the Scramble for Africa, ed essere rimasto sempre indipendente (a parte il breve quinquennio dell'occupazione militare fascista 1936-41), e questo conferisce al suo capo di Stato un primato onorevole.
Nella carta seguente si può vedere il confronto tra una carta geografica a sin. relativa ai possedimenti in Africa nel 1870 e a destra una successiva alla fine della 1a grande guerra mondiale (da A. Ghisleri, 1926), il continente era stato del tutto spartito:
L'Italia ha potuto soggiogare soltanto la costa sul mar Rosso e alcune aree interne del centro-nord che costituirono la colonia Eritrea con capoluogo Asmara, dichiarando di rinunciare ad altre ambizioni dopo la sconfitta di Dogali nel 1887.

 Dall'atlante geografico di Stieler, Gotha, 1875 (dunque prima del congresso di Berlino del 1884)
in cui l'Abissinia (comprendente Amhara e Tigré) e lo Schoa, sono riconosciuti come regni a sè,

e poi ancora nello Stielers Hand-Atlas del 1906, carta n. 72:
 nella carta geografica n. 68 dell'editore Justus Perthes di Gotha, possiamo già leggere "Adis-Abeba" sottolineato in verde, come capitale di un Regno unito dato che era divenuto imperatore dell'Abissinia Menelik, re dello Scioa.


(1906)

 (1926)
carta del prof. A.Ghisleri, Testo-Atlante, Bergamo, 1926, tav.29, p. 77
l'impero etiope si espande

L'Italia ci riprovò ma venne sconfitta ad Adua nel 1896 (dunque seconda sconfitta di un esercito europeo da parte di uno africano) e temporaneamente riconfermò di accontentarsi dell'Eritrea (però nel 1890 aveva intanto occupato la Somalia, e con i trattati di Losanna del 1912 dichiarò propria colonia la Libia, la cosiddetta  "quarta sponda" nel Mediterraneo).
Quindi nelle carte geo-politiche figura ancora nel 1914 alla vigilia della 1a guerra mondiale, come il solo indipendente (essendo la Liberia in realtà una "emanazione" o "filiale" degli Stati Uniti).


E ancora nel 1936 (!) nell'Atlante per uso dei Licei statali del prof. O.Marinelli (A.Vallardi editore), tav.43, l'indipendenza dell'Etiopia era riconosciuta, dato che essa era paese membro della Società delle Nazioni:

Per l'evolversi della situazione, si veda a cura del Touring Club Italiano, l'Atlante Storico "Treccani", dir. P.Landini e A. Menniti-Ippolito, in 2 voll. (cfr. i capp. sull'Africa), Istituto Enciclopedia Italiana, Roma, 2007

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ADDIS ABEBA 2
Riprendo il Diario:
Girando in auto rivediamo che effettivamente l'intera collina che ora è al centro di Addis era dentro la recinzione del palazzo reale,
il leone di Giudea (simbolo della dinastia imperiale) appartenuto al Negus

il Negus, l'  'imperatore Haile Selassie nella sua hall
(foto di Newmann)

ora Palazzo Nazionale, e Messay ci indica dove c'era la famosa rimessa delle sue auto, che ora è il parcheggio dei ministri del governo.

Per quanto riguarda la conquista fascista, a parte l'illegale uso di gas letali durante gli scontri bellici, e di "armi" chimiche, anche sulla popolazione civile (con relative devastazioni, distruzioni di interi villaggi, e stragi) e persino sui rifugiati fuggiti dalle aree di scontro, in un caso un gruppo di ottocento nascostisi in grotte nei dintorni del fronte, che vennero "gasati" (lo stesso I. Montanelli visti i documenti dovette ammetterlo) (oggi si stimano in totale quasi 30 mila morti civili ). Poi quando l'occupazione militare dell'Abissinia aveva oramai raggiunto e invaso la capitale, i vincitori la fecero da padroni assoluti e incontrastabili (consideravano, anche in seguito alla legislazione di discriminazione etnica, come una "razza" superiore). A seguito di un tentativo di attentato al feroce generale Graziani, responsabile di quanto prima accennavo, c'era stata una vera e propria grande strage. E' descritta in uno studio accurato dello storico Ian Campbell (The Addis Ababa massacre, 2017, tradotto in italiano per Mondadori, con prefazione di R. Pankhurst, Il massacro di A.A. - una vergogna italiana). Ci furono tanti saccheggi, incendi, e migliaia di omicidi. Graziani inviò questo chiaro ordine: (Telegramma 25876 Gabinetto. avvocato militare mi comunica che habet raggiunto prova assoluta correità dei monaci convento Debra Libanos con gli autori dello attentato. Passi pertanto per le armi tutti monaci indistintamente, compreso vice-priore. Prego darmi assicurazione comunicandomi numero di essi). Subito dopo avvenne lo scandaloso eccidio di 450 monaci, sacerdoti, e pellegrini cristiani disarmati nel sacro monastero a Debre Lebanos; e infine si aggiunse un vero e proprio pogrom di intellettuali. I colonialisti fascisti avevano avuto la piena mano libera. Ora (il 15 febb. 2021) sulla rivista "Internazionale" si legge: «Le esecuzioni ufficiali ammontarono a 449. Lo storico Ian Campbell considera invece plausibile l’uccisione di circa duemila persone, compresi centinaia di minorenni, sia laici sia religiosi. Almeno il doppio ne sarebbero morte, secondo lo storico A. Del Boca, per le strade di Addis Abeba». Per questi (e altri) eccessi efferati che contravvenivano ai patti internazionali sul Codice Penale militare di guerra, quello approvato -subito dopo le tragedie della prima guerra mondiale- dalla Società delle Nazioni (League of Nations) di Ginevra, il generale Graziani fu spostato (forse per ordine dello stesso Duce) ad altro incarico (in Libia, dove fece altre stragi), ma nessuno dei responsabili è stato poi incolpato, né furono mai processati nemmeno dopo la caduta del regime della dittatura fascista, e dopo la fine della seconda guerra mondiale... cfr. https://www.avvenire.it/agora/pagine/etiopia-la-strage-dei-cristiani  e     https://www.internazionale.it/opinione/wu-ming-2/2021/02/15/mappa-colonialismo-italiano
(aggiungo a latere una nota personale, cioè che mia nonna materna Fede Paronelli era stata contrarissima alla guerra coloniale in Abissinia e ne parlava alle sue allieve di lezioni private nell'anno scolastico 1935/36 (pur essendo stata espulsa come insegnante dal Liceo e essendo rimasta da sola con due figlie), e ne discuteva in ritrovi clandestini di antifascisti fuori Milano e a Genova, dato che ricordava la lezione di suo padre, il mio bisnonno, il quale come  giornalista e Redattore di quotidiani aveva manifestato la propria opposizione in articoli e pamphlets, prima all'avventura voluta da Crispi in Eritrea, e poi alla conquista della Libia, e anche per questo aveva dovuto espatriare in Svizzera e così anche perdere il suo lavoro ... ).

Ma ormai ai nostri tempi, la grande cesura nella storia contemporanea d'Etiopia non è stato il quinquennio fugace dell'occupazione italiana, che diede brevemente e tragicamente al Paese "un altro Duce e un altro Re", bensì più tardi la fine della monarchia abissina.
Come in tutte le società di "antico regime", vigeva una cultura (oltre che una struttura economica e delle sovrastrutture tardo-feudali) in cui il Re era persona sacra, era vicario della (o delle) divinità su questa terra, o comunque sin dall'antichità la sua persona era identificata con lo Stato, con il Paese ed il suo popolo. E inoltre nello specifico caso, da tempo l'imperatore etiope godeva di un ampio sostegno a livello continentale e anche a livello internazionale.

"uomo dell'anno", 1936

con Jomo Kenyatta negli aa '60

Quando vi fu la rivoluzione (ovvero il colpo di stato del 1974) e alcuni tronfi militari andarono ad ammanettare il Negus, l'imperatore, fecero detronizzare la personificazione stessa dell'Etiopia, ed erano consci del sacrilegio che osavano compiere. Egli era il Re dei re, il capo dei capi feudali, il Negus neguesti, era l'eletto da Dio, l'invincibile leone di Giudea, il 225° discendente dalla dinastia trimillenaria del re Salomone e della regina di Saba, il "Difensore della Fede" che governava in nome di Cristo e del Signore. Certo il Capo assoluto aveva avuto delle responsabilità gravi nell'affrontare la carestia che era allora in atto, ma forse sarebbe bastato costringerlo ad abdicare, (era già vecchio e male in salute) e imporre al successore di indire elezioni per una assemblea costituente.
Quando un ufficiale maggiore (o forse un suo soldato ai suoi ordini) soffocò il vecchio 83enne nel letto della sua cella, premendogli sul viso un cuscino, aveva la netta sensazione di star compiendo un ancestrale rito, quello dell'uccisione del re perché si possa fare re un'altro. Nel suo romanzo, M. Mengiste non lo dice esplicitamente ma lo fa molto ben intendere.
Il nuovo "Negus rosso", il colonnello Mengistu Maryam (il cui ingannevole motto era: "l'Etiopia prima di tutto"), fece poi occultare il suo cadavere sotto al pavimento della latrina accanto al suo ufficio nell'ex palazzo reale, ridenominato Palazzo Presidenziale.
Come è noto l'immolazione del sovrano è una cerimonia ancestrale che segna col sangue il sacrificio del re sacro, reso capro espiatorio per i mali sofferti dal suo popolo. Ne trattò tra i primi Sir Frazer nel suo "Il ramo d'oro" alla fine dell'Ottocento, testo fondativo dell'antropologia culturale. Poi ne parlarono l'antropologo psicoanalista Géza Ròheim, e anche Renée Girard con la sua teoria mimetica, e Wilhelm Reich, e Marvin Harris (Cannibali e Re) e tanti altri da varie prospettive. Festa sacrificale, che nella storia era stato sostituito appunto da un capro o da un maiale, durante la quale si poteva gridare "è morto il Re: Viva il Re!". Come accadde in Europa con le rivoluzioni inglese, francese e russa. Ai suoi funerali tenutisi nel 1992 (dopo la scoperta del suo corpo sotto al gabinetto), oltre ai suoi famigliari, e parenti, solo i Rastafari giamaicani furono ammessi, e nessun altro se non il Patriarca e i sacerdoti officianti.

 

    

Sir James Frazer, da Il ramo d'oro


Non intendo però qui assolutamente attardarmi su questa complessa e affascinante problematica, che riguarda non solo i re per diritto divino, ma anche i "salvatori dell'umanità" (da Prometeo in poi)...
Ma ora il mondo tardo-feudale è tramontato per sempre, ed è terminato anche il periodo di 17 anni della dittatura accentratrice del Derg, della Giunta dei militari "rossi" filosovietici.
Caduta la Giunta, il titolo di capo dello Stato non è stato restituito al principe Zera Iacòb Amhà Selassié, l'erede al trono. E si è mantenuta la forma repubblicana.
Ma in definitiva oggi sono passati oramai 26 anni dalla rivoluzione democratica del primo ministro e leader L.M. Zenawi (deceduto nel 2012),

e dalla ristrutturazione dello Stato-nazione dell'Abissinia, in una compagine federale in cui tutti i popoli dell'ex impero hanno eguali diritti e dignità. All'epoca del nostro viaggio (2017) era dal 2013 Presidente d'Etiopia Mulatu Teshome, leader del movimento di liberazione del popolo Oromo (laureato all'università di Pechino).



Attraversiamo il quartiere con le vecchie case degli italiani (sul quinquennio dell'occupazione italiana vedi gli studi di G.Rochat, già prof. a Ferrara, e di A.Del Boca),  poi un'altro quartiere che è quello degli armeni. Sono tutti nella zona urbana chiamata Piazza. Si riconoscono le costruzioni stile fine-anni-Trenta che dunque sono proprio "razionaliste" del periodo di influenza italiana:




la "Piazza", l'ospedale, e l'edificio che poi è stato del primo Parlamento (foto degli aa '50)

Riprendo la "croaca" del giro che stiamo facendo...
Poi più a destra c'è la sede della grande Municipalità autonoma del territorio della capitale. E in seguito passiamo attraverso la rotonda con l'obelisco col leone di Giudea.

E poi siamo sulla prospettiva dell'altra grande arteria, la Churchill Road.

Poi entriamo nella zona chiamata Merkato, o Markatu, verso il nord-ovest della capitale, là dove c'è anche un mercato delle verdure, in cui ci sono tante contadine delle campagne circostanti, con i loro prodotti su lenzuola per terra. Sono tutte venute a piedi stamattina prestissimo.
Poi passati sotto la sopraelevata inizia il grande mercato vero e proprio.
Ma sia Feven che Messay ci sconsigliano di avventurarci in mezzo al labirinto di vicoli tra le bancarelle, perché è affollatissimo e anche perché comunque rischieremmo di perdere l'orientamento per uscire. Ci dispiace perché ha la fama di essere il più grande mercato dell'Africa (10kmq), ma effettivamente c'è fin troppa gente... e c'è afa essendoci nuvoloni bassi, il che ci fa passar la voglia.
(foto del grande mercato, tratta da un dépliant)

Comunque in auto facciamo il giro del perimetro, vedendo i margini del gran mercato.
Certi individui vanno in giro con un braccio alzato, mostrando un mazzo di chiavi, per segnalare che ti vendono in contanti un'auto usata parcheggiata lì a fianco. C'è veramente di tutto, ed è zonizzato, per es. metalli, pecore, verdure, tessuti, scarpe, eccetera. Se vuoi comprare del ber-beri, ti vendono la piantina, o le foglie, e poi ognuno le triterà a casa sua, facendone una polvere e aggiungendoci sale, pepe, semi, sapori, aromi, a suo piacimento. Certi mettono davanti al lenzuolo in terra alcuni fili d'erba verde in segno di accoglienza (a similitudine degli "angoli del caffè").

Travolta dalla folla, in questi contesti la società si scioglie, e lascia il posto ad una moltitudine che entro certi termini si autoregola, in cui però non valgono più le leggi scritte ma le norme consuetudinarie, e gli esseri umani non sono più delle persone viste nei loro ruoli e nelle loro funzioni, ma solo come altre componenti individuali del formicaio. Ci si spintona, ci si struscia, ci si blocca a vicenda, si grida, non ci si ascolta, almeno là dove la ressa è tale da annullare le necessarie distanze tra i singoli. E questo di Addis è un grande melting pot, certo molto dipende dalle dimensioni, per cui mercati come quelli di Key Afer, di Dimeka, di Turmi, di Konso, di Yabello, sono luoghi di incontro e socializzazione, ma questo! questo è troppo, è ipertrofico.
Un mercato è anche un grande gioco, non molto diverso dalle Fiere e dai grandi "Luna Park", mentre questo è solo indaffarato e congestionato.
Noi ne restiamo fuori, ai margini, e dunque ci limitiamo ad essere spettatori di uno spettacolo.




Mi piace riprendere le donne:







Girando dunque in auto attorno al suo perimetro esterno, vediamo guardando verso l'altro lato, che ci sui tetti di alcuni edifici ci sono le insegne di centri medici o ospedali privati con scritto: Medium Clinic, o Middle Standard Hospital, ecc. il che segnala dunque il livello di categoria delle offerte, attrezzature e prestazioni (e prezzi) di quella istituzione sanitaria, il che mi sembra onesto e giusto.

Poi preferiamo andare a quel mercatino che già avevamo un po' visto, alla pendici delle colline Entoto, soffermandoci nella parte sull'abbigliamento.


Sarebbe stato interessante, ma verso mezzogiorno incomincia a piovere, e poi diviene sempre più un monsone fitto e intenso. Inizialmente la gente sembra non darsene gran pensiero, tanti hanno con sé l'ombrello che vale sia come para-acqua che come parasole. Oppure ci si ripara sotto la sporgenza del tetto.


Ma poi la pioggia cambia qualitativamente e quantitativamente, e scroscia un vero diluvio, formando fiumi e laghi... e a questo punto non basta più un ombrello o un impermeabile... bisogna scappare a rifugiarsi al chiuso.

Poi vogliamo ritornare brevemente al Museo Nazionale

per visitare gli altri due piani di sopra, che non avevamo visto bene l'altra volta. C'è una interessante collezione di oggetti della cultura materiale di diverse etnie, e sopra ancora, una esposizione di arte tradizionale, e arte moderna. Vi sono molte fotografie in bianco e nero di altri tempi, di interesse storico e etnologico


Ma anche reperti archeologici di grande interesse, come ad es. queste rarissime sculture con iscrizioni del regno sabeo
statua in calcare di figura femminile del 6° sec. av.C. 
con scritta in sabeo:  "affinché Egli doni un figlio a Yamanat", 
trovata nella regione del Tigray

statua di donna seduta in una nicchia con bassorilievi 
del V o IV s. a.C. da Haoulti nel Tigray
(entrambe post cards del museo)

Vi sono alcuni bei pezzi di arte tradizionale, ma i migliori li avevamo visti al museo etnografico dell'università di Addis Abeba, e allora mi vengono in mente anche alcune stupende opere che avevamo visto all'Avana nel museo "Casa de Africa" (omaggi di presidenti africani, tra cui alcuni proprio da parte di Menghistu Maryam), e altri visti in altri musei, come l'altr'anno quello etnografico di Berlino, o al museo dei Tropici ad Amsterdam un paio di mesi fa, o a quello di Etnografia a Ginevra, e altri tra Londra, Parigi, in anni passati, eccetera.

Tra i quadri di pittura moderna spicca questa celebrazione della vittoria di Adwa sugli italiani, dell' artista Tesfaye Negussie, del 2003:

Già  avevamo visto altrove alcune raffigurazioni nello stile tipico degli antichi affreschi etiopi, in cui si metteva in scena la battaglia di Adua e il suo successo, tipo questi:
battaglione di alpini

 il grandioso banchetto per festeggiare la vittoria

Riguardiamo anche le sale nel sotterraneo, e ci rendiamo conto che l'Etiopia è davvero stata proprio la culla dell'Umanità, dato il ritrovamento di resti dell' Homo Erectus, dell' Homo Rudolfensis, dell' Australopiteco Africanus, e dell'Australopiteco Aethiopicus, e dell'Australopitheco Afarensis, così denominato dalla regione etiopica del popolo degli Afar (o dei Dancali), tra cui la nota "Lucy". E infine nel Parco Naturale dell'Omo, con i reperti di Homo Sapiens e anche i più antichi fossili di Homo Sapiens-sapiens...
riposino al museo

Usciti passiamo davanti al Patriarcato Ortodosso della chiesa autocefala (tewahedo) monofisita, dove risiede l'Abuna cioè il Patriarca Padre Mathias, e dove certi pellegrini entrano baciando il cancello di ingresso, e facendosi il segno della croce ancora in strada, e soffermandosi per una preghiera. E in generale in questa area si incontrano vari personaggi che arrivano in pellegrinaggio chissà da dove per entrare qui al Patriarcato, oppure ecclesiastici indaffarati che entrano ed escono. Consiglio a chi venga qui come turista di soffermarsi ad osservare quelli che convergono verso il Patriarcato.



        


 ai lati dell'entrata ci sono due grosse e goffe colombe bianche della pace


l'ingresso alla sede del Patriarcato ortodosso

donne devote che si soffermano sul cancello a pregare 
o a dare un bacio al cancello medesimo

pellegrino
            


 seduta davanti all'ingresso chiede elemosine
lungo il cancello un barbone (o pellegrino) con i suoi cartoni e stracci per la notte

 vendita libri religiosi usati

 preti ortodossi


Poi andiamo al mercatino adiacente dove c'è una sorta di festival bio con bancarelle, e troviamo qualcosa da comprare. Ma non prendiamo i barattoli di miele perché sono pieni di api morte dentro, e inoltre non sono chiusi in modo sigillato.

Passiamo davanti alla cattedrale di San Giorgio, della fine dell'Ottocento, dove sono sepolti predecessori di Haile Selassie.

E infine osserviamo la gente che passa, la vita della strada

baracchino di generi alimentari



donna con un bello scialle shammà


vendita pannocchie bollite

baracca cioè micro-abitazione in lamiera ondulata

In albergo rifacciamo le valige e ceniamo. Infine Messay ci accompagna al Bole Airport dove c'è gran casino indicibile di auto e di persone, chi parte e chi arriva, confusione, rumori, voci...
Al Duty Free vediamo prezzi assurdi. Comunque cerchiamo di finire tutti i birr che abbiamo in tasca.

un leone di Giudea per soli 2 birr

Dunque ricapitolando le non poche parole derivate o prese dall'italiano, oltre a mercato, piazza, pasta,  ciao, ecc. ci sono anche: pomodoro, secchiello, forchetta, armadio, fornello, tegamino, sciarpa (charp), quintale, insalata, autista, aiutante, bagno (non il wc), gommista, meccanico, meschino, misto, e chissà quante altre (che però vengono pronunciate in modi particolari). Feven ci ha detto che sono entrate nell' amharico parlato, tramite il tigrino (lingua che si parla in un'area che sta sia in Eritrea che in Etiopia).

In breve nella cucina etiopica, oltre alla injera, si trovano, uno stufato di carne piccante, della carne macinata speziata, del pollo piccante di color giallo o rossastro per via dello zafferano e del berbere, tanti tipi di farine, di verdure, di ingredienti vari...  Cfr. "Sapori d'Africa", di Aisha Fall, editori Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, 2005; o "Cucina africana" di Fatou Dieng e Lucia Santarelli, La Cassandra Edizioni, Pigneto (Te), 2012, e altri.

A mezzanotte si parte. ciao!
Un grazie a Izack e a Messay che ci hanno accompagnati.

Poi mi verrà il "mal d'Africa"? (ma esattamente che cosa si intende?) E' probabile di si, se si intende nostalgia di un mondo che ha saputo ammaliarci e che abbiamo lasciato. Come dice De Paoli, innamorato dell'Etiopia: "non so come si possa dire che l'Africa è bella, eppure è bella (...) è bella di una strana bellezza (...)".

5 settembre 2017
Arriviamo alla mattina prestissimo, prendiamo il treno dall'aeroporto di Fiumicino (Leonardo Express) per la stazione Termini, dove poi prenderemo il treno per Ferrara. Intanto sentiamo per telefono Belayneh per ringraziarlo e salutarlo. E scrivo per ringraziarla anche a Grazia Pereno che me lo aveva consigliato. Viva la"Ethio Mar"(mar in amharico significa miele, quindi con Ethio Mar si intende la dolce Etiopia, o ciò che è il componente dolce dell'Etiopia,  e in effetti il miele etiopico è squisito, perché là ci sono fioriture che da noi non esistono e che gli conferiscono un sapore particolare).



(fine del diario di viaggio)
(presto completerò questa puntata con +foto) 

(seguirà poi un Post 23 di riflessioni, e uno con una bibliografia)

dopo il rientro a Ferrara abbiamo saputo di una serie di iniziative all'interno del Progetto "Focus Africa". Siamo stati ad una esibizione di un gruppo musicale pan-africano e abbiamo di nuovo gioìto dei loro ritmi incalzanti, viva l'Africa, Grande Madre Africa. 
Al teatro comunale di Ferrara c'erano anche balletti moderni dall'Etiopia.



Poi siamo stati ad un incontro con scrittrici africane, con anche degli esempi di danze. 
Su una pubblicazione ho anche visto una foto di danze tradizionali maschili che in origine erano propiziatorie per la caccia.
Quindi il ricordo resta desto. 

E ieri Belayneh mi ha telefonato per sapere se ho scritto recensioni su Trip Advisor, ma certo che sì. E' stato un piacere risentire la sua voce.
Poi ci siamo ri-sentiti per la festività di capodanno che è l'  11 settembre
Chissà... ci piacerebbe ritornare, per fare il giro del centro-nord, cioè dell'area amharica e tigrina, e dell'ovest, del Gonder, cioè dell'area più propriamente cristiano-ortodossa dei copti etiopi. Magari approfittando del periodo delle festività del natale (Genna) il 7 gennaio, e del Timkat il 19 gennaio, cioè del battesimo di Gesù nel Giordano che loro chiamano epifania, con le sue cerimonie, liturgie e danze tradizionali. Chissà, vedremo. O magari più avanti, con la pasqua (Fasika)  tra il 6 e l' 8 aprile... o chissà...

P.S.: Intanto ripenso alla presenza di cinesi  che abbiamo potuto constatare: che futuro per l'Etiopia e per l'Africa nera?



Finalmente domenica 8 luglio 2018 il primo ministro dell'Etiopia è andato in Eritrea ad incontrare il primo ministro all'Asmara. L'incontro  al vertice apre a un futuro accordo di pace, che potrebbe portare vantaggi e prosperità economica ad entrambi gli ex-nemici. Speriamo che ogni azione di guerra d'ora in poi sia davvero finita per sempre.

Il bravo ministro della Sanità etiope che ha attuato una importante riforma del sistema sanitario etiopico, dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus è stato nominato Direttore Generale della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il 1° luglio 2017 quindi  prima dello scoppiare della pandemia di covid-19, che si è trovato a dover gestire, compito per niente facile e di gravissima responsabilità.  


(Nel frattempo essendo caduto Mugabe nel novembre 2017, chissà che fine farà l'ex dittatore etiope Menghistu che aveva trovato rifugio politico in Zimbabwe...?? 
E comunque Mugabe è poi morto nel settembre 2019).

A questo proposito aggiungo una curiosa notizia di dicembre 2020: il ministro degli esteri e il capo di stato maggiore del governo di Menghistu Maryam, dopo la caduta nel 1991 si erano rifugiati nell'Ambasciata d'Italia, e là sono rimasti chiusi dentro fino a fine dicembre 2020 quando è stata revocata la loro condanna a morte con decreto della nuova Presidentessa della Repubblica federale Sahle-Uork Zeudé. Quindi sono rimasti in quelle stanze per 30 anni !!! infatti l'ex ministro degli esteri ha ora 82 anni...Adesso possono uscire, ma non sanno dove andare e a far cosa... le famiglie sono da allora in Canada e negli USA... (vedi sul Corriere della Sera del 29.12.2020).


Altra notizia (sempre dal CdS del 30.12.2020) l'attivista ecologista Agitu Gudeta, una giovane che una decina d'anni fa aveva accusato certe multinazionali di accaparrarsi grandi lotti di terreno, ed era stata minacciata, ma aveva trovato rifugio in Italia dove aveva impiantato una fattoria ecologica ora ben affermata, con allevamento di caprette e produzione di formaggi caprini, in provincia di Trento, è stata assassinata con un violento colpo in testa di attrezzo metallico pesante che le ha sfondato il cranio. Ora aveva 42 anni, ed era divenuta un simbolo di accoglienza e integrazione.


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L'hotel Azzeman di Addis Ababa, mi ha ringraziato per la valutazione positiva che avevo pubblicato su Trip Advisor:


"Naser S., Sales & Marketing Manager allo Azzeman Hotel, ha risposto a questa recensione:

Dear Esteemed Guest,
Thank you for taking the time to review us on TripAdvisor.
We are delighted you have enjoyed your stay at our hotel. Thank you again and we look forward to welcoming you back on your next visit to Addis.

Hospitality regards,
Azzeman Hotel Management Team
"

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